In termini di realpolitik, so far so good
Erdogan negli ultimi anni ha smontato l’architettura costituzionale, costruita da Atatürk, che faceva della Turchia una democrazia controllata, con l’esercito garante dell’ordine e della laicità dello stato.
La Turchia, senza quella rete di protezione, è stata fino a domenica sull’orlo di una crisi istituzionale perché nessuno aveva la maggioranza. Erdogan ha stravinto perché i turchi – in una situazione come quella del medio oriente sempre più complicata e pericolosa – si aggrappano alle sicurezze che hanno ed Erdogan rappresenta la stabilità e la sicurezza. Noi europei poi dobbiamo ricordare che la Turchia funge da asilo per due milioni di rifugiati siriani pronti a rischiare la vita per venire da noi e che sarebbero ancora più motivati a cercare rifugio in Europa se la Turchia piombasse nel caos. Dunque, in termini di realpolitik, possiamo dire: so far so good. Certo, se sottoponessimo il governo Erdogan all’esame della piena democrazia non passerebbe a pieni voti, e ho qualche dubbio che tutti i turchi siano felici di digerire un governo che arresta giornalisti e dissidenti. E anche affidare a Erdogan il ruolo di stabilizzatore dell’area mi sembra fuori posto: il suo atteggiamento nei confronti dello Stato islamico è quantomeno incerto, se non tiepido, mentre appare particolarmente ostile verso la minoranza curda e anche la sua inimicizia verso Bashar el Assad sembra più un problema che una soluzione, perché contribuisce a destabilizzare l’unico simulacro di governo che resiste in Siria.
La mia previsione è che Erdogan governerà per i prossimi mesi tranquillamente, grazie al desiderio di sicurezza dei turchi. Del resto, noi europei abbiamo un interesse diretto a fare in modo che la Turchia resti stabile e funga da rifugio per i siriani che lasciano il loro paese dilaniato dalla guerra. Guai se dalle elezioni non fosse uscito un vincitore. Ci sarebbero state anche pesanti conseguenze economiche, mentre a guardare la Borsa di Istanbul e la lira turca – i mercati finanziari hanno approvato la soluzione politica che i turchi hanno votato. L’economia turca si rimetterà in carreggiata. Certo è che il sogno di una Turchia che entra nell’Ue è rimandato di qualche decennio.
Paolo Scaroni è deputy chairman di Rothschild ed ex ad di Eni
(testo raccolto dalla redazione)