Aung San Suu Kyi ha superato i militari alle elezioni in Birmania
Yangon. Domenica sera a Yangon: dopo una pioggia torrenziale, il tramonto è spettacolare. L’orizzonte è rosso venato di giallo, come i colori delle bandiere della National League for Democracy. Immagine subito rimbalzata nel grande schermo di fronte alla sede del partito di Aung San Suu Kyi. Un tramonto che le migliaia di persone radunate là sin dal primo pomeriggio in attesa di Mae Suu, Madre Suu, com’è chiamata la Signora, salutano come un presagio intonando un coro: “En el di, en el di, noi vinceremo, Mae Suu vincerà”.
Le urne delle “elezioni più libere e giuste” svolte in Birmania dopo cinquant’anni si erano chiuse alle quattro, ma già filtravano i primi exit poll, basati sulle informazioni degli attivisti: la vittoria era certa. Lo confermavano le immagini sugli schermi: riprese dei seggi durante lo scrutinio dei voti, primi piani delle schede col simbolo della Nld.
Poco dopo le sei, però, sullo schermo appare Tin Oo, segretario della Nld. "Abbiamo vinto…", traduce una donna che parla un po’ d’inglese con voce soffocata dalle grida d’entusiasmo. "Ma per conoscere i risultati dobbiamo aspettare. Andate a casa a vedere la tv. E qualunque siano state calmi", continua a tradurre la donna, mentre le grida si spengono. "Lei non arriva", conclude con aria triste.
Molti prendono la via di casa. Altri restano, in attesa di non si sa cosa, premiati dalla distribuzione di Coca Cola e dall’apparizione di due ragazzi in costume di Topolino e Minnie che diventano i protagonisti dei selfie. Mentre la folla si dirada, sullo schermo riappare il volto di Tin Oo e le sue parole sono seguite da un nuovo applauso, grida e canti. "La Nld è su, su. L’Uspd è giù giù", sintetizza la donna riprendendo il suo sorriso. L’immagine di Tin Oo è sostituita da quella di un rapper birmano: Myanmar Taro, Myanmar (il nome ufficiale della Birmania) vi dà il benvenuto.
Il momento d’incertezza legato all'assenza di Aung San Suu Kyi sarà chiarito da un occidentale che vive in Birmania da oltre vent’anni e ne conosce i delicati equilibri. "Proprio perché sta vincendo alla grande la Signora non si è fatta vedere. Se fosse comparsa dichiarando la vittoria, in poco tempo si sarebbe raccolta una folla di centomila persone. Un incidente sarebbe diventato inevitabile", dice, mentre sua moglie, birmana, continua a scorrere i post su Facebook. "Non è possibile: abbiamo vinto anche a Naypydaw", dice, più incredula che felice, citando i voti della capitale “fantasma” creata dai militari nel 2005 come loro santuario e bunker.
Nelle ore seguenti e nella mattina di lunedì, la felicità sovrasta l’incredulità: secondo tutti i dati, per quanto ufficiosi, l’Nld ha ottenuto una vittoria schiacciante nella maggioranza dei 40.000 seggi, dove ha votato l’80 per cento degli aventi diritto. L’Uspd, l’Union Solidarity and Development Party, il partito creato come un avatar dalla giunta militare nel 2010, sembra collassare anche nei seggi delle caserme. In un sondaggio dell’Eleven Media Group (gruppo editoriale considerato uno degli artefici del nuovo corso), l’Nld avrebbe raggiunto il 90 per cento delle preferenze, contro il 5 dell’Uspd. Sconfitta cocente anche per i gruppi integralisti buddisti come il Ma Ba Tha (Associazione patriottica del Myanmar), che si era espresso in favore dei militari e dell’Uspd, ma soprattutto contro la Lady. "Quelli non sono veri monaci. Loro sono veri monaci, loro seguono le regole del Budda", commenta una signora indicando due vecchi, compostissimi monaci serenamente seduti davanti alla sede dell’Nld.
Intanto, nella notte tra domenica e lunedì, mentre si diffondevano le voci di vittoria, ne circolavano altrettante su brogli già avvenuti e in corso, forse proprio per rimediare alla sconfitta. Ma più che per i brogli, denunciati dai social media, la vittoria certa della Nld è resa incerta dalle complessità della legge elettorale e dalla costituzione elaborata dai militari nel 2008, che garantisce loro il 25 per cento dei seggi, assicura al comandante in capo del Tatmadaw, le forze armate, il potere di sciogliere le camere, e impedisce a Suu Kyi di essere eletta presidente.
"I tre ministeri più importanti, Difesa, Interno e Affari di frontiera, sono riservati ai militari. E il sistema di elezione del presidente non dipende dal voto popolare. Ecco perché Tatmadaw è e resterà a lungo l’organizzazione più potente di questo paese", commenta Bertil Lintner, saggista che gli stessi birmani considerano uno dei più profondi conoscitori dei misteri del loro paese. Ed ecco perché, dopo aver deposto il suo voto nell’urna, il Generale Min Aung Hlaing, il comandante in capo delle Forze Armate, ha dichiarato che "anche i perdenti devono accettre il risultato".
Il risultato, inoltre, potrebbe essere parzialmente modificato dal voto delle minoranze etniche (rappresentate dalla maggior parte dei 90 partiti in lista), di cui non si hanno ancora dati certi. Bisognerà attendere alcuni giorni, qualche settimana per quelli ufficiali. Il che spiega la cautela di Aung San Suu Kyi. "Dobbiamo continuare il nostro cammino pensando al bene del paese e con amore per il popolo senza alcuna discriminazione", ha dichiarato in una breve conferenza stampa lunedì mattina. "Poiché i risultati non sono ancora ufficiali sarebbe inopportuno fare altre dichiarazioni. Credo che il popolo sia in grado di comprendere".
Secondo il Myanmar Times, da oggi sino a gennaio (quando le due camere dovrebbero eleggere il presidente), la politica birmana sarà un continuo roller-coaster, un giro di montagne e russe, un intrigo occulto per stringere accordi e alleanze. "Fino ad allora non sapremo come finirà questa storia. E per allora tutti i giornalisti stranieri se ne saranno andati a seguire altre storie. Tutti hanno già concluso che la Birmania è ormai libera e democratica, ma io credo che dovremo aspettare e osservare con molta attenzione", commenta Lintner.
[**Video_box_2**]Lo scetticismo di Lintner deriva forse dalla sua storia personale, da un susseguirsi d’illusioni e disillusioni. Come quella di un anziano incontrato domenica mattina di fronte a un seggio di Yangon. "Ho ancora paura", ha detto.
Quel vecchio era uno dei pochi che non sorridevano. Nelle vie del centro storico, attorno agli “uffici del Budda”, là dove i fedeli portano le offerte per i monaci e rivolgono una breve preghiera, riconvertiti in seggi dove gli elettori entravano levandosi le scarpe, c’era aria di festa. Qualcuno aveva allestito un banchetto in strada e divideva il primo tè con gli amici. Uno di loro ha affermato il vero segno del cambiamento: "La cosa più importante è che non c’è solo l’Nld. Un’altra volta si può votare per un altro".
Dalle piazze ai palazzi