Sostenitori dell'Nld festeggiano in piazza a Yangon (foto LaPresse)

I birmani quasi non ci credono che ha vinto davvero la Signora

Massimo Morello
Il partito di Aung Suu Kyi avrebbe ottenuto il 70 per cento dei voti. Risultati positivi anche dalle minoranze

Yangon. “Finger Bullet”, dice Cho, donna birmana in carriera, puntando il dito indice. Il polpastrello è ancora macchiato dall’inchiostro nero, attestazione del voto alle elezioni di domenica. “Dito proiettile”, così è chiamato in Birmania: ha fatto fuori con un colpo secco un regime in carica da oltre cinquant’anni. Milioni di colpi: alle elezioni ha partecipato l’80 per cento dei 30 milioni aventi diritto. Secondo i primi dati ufficiosi, la Nld, la National League for Democracy, il partito guidato da Aung San Suu Kyi, ha ottenuto una vittoria schiacciante nella maggioranza dei quarantamila seggi. L’Uspd, l’Union Solidarity and Development Party, il partito creato come un avatar dalla giunta militare nel 2010, sembra collassare anche nei seggi delle caserme. Secondo il portavoce dell’Nld, il partito avrebbe vinto il 70 per cento dei seggi, ben oltre la soglia del 67 considerata l’obbiettivo massimo. La sconfitta è stata ammessa anche dall’Uspd. “Abbiamo subìto gravi perdite – ha dichiarato U Htay Oo, presidente provvisorio del partito, lui stesso sconfitto nel suo distretto elettorale – Dobbiamo accettare il risultato e capirne il motivo”. Forse perché il suo partito, con un golpe interno, pochi mesi fa ha destituito dalla carica di presidente Shwe Mann, ex generale che appariva troppo favorevole a un accordo con Aung San Suu Kyi.

 

Sino a lunedì sembrava impossibile. Oggi gli stessi sostenitori dell’Nld quasi non ci credono. “Non possiamo essere del tutto contenti. Pensiamo sia uno scherzo”, dice la donna dall’indice macchiato mentre continua a scorrere i post su Facebook. “Abbiamo vinto anche a Naypydaw”, esclama, più incredula che felice, citando i voti della capitale “fantasma” creata dai militari nel 2005 come loro santuario e bunker. “I militari pagano una rabbia troppo profonda e radicata. E pagano il conto per quello che hanno rubato”, risponde un occidentale che vive in Birmania da quasi vent’anni. Come ha dichiarato un esponente di spicco della Nld, “non bisogna mai sottovalutare i sentimenti popolari”.

 

La vittoria era certa sin da domenica sera. Le urne delle “elezioni più libere e giuste” svolte in Birmania dopo cinquant’anni si sono chiuse alle quattro, ma già filtravano i primi exit poll. Guardando gli schermi di fronte alla sede dell’Nld, le migliaia di persone radunate in attesa di “Mae Suu”, Madre Suu, com’è chiamata la Signora, intonano un coro: “En el di, en el di, noi vinceremo, mae Suu vincerà”. Poco dopo le sei, sugli schermo è apparso Tin Oo, segretario della Nld. “Abbiamo vinto…”, traduce una donna che parla un po’ d’inglese con voce soffocata dalle grida d’entusiasmo. “Ma per conoscere i risultati dobbiamo aspettare. Andate a casa a vedere la tv. E qualunque siano state calmi”, continua a tradurre la donna, mentre le grida si spengono. “Lei non arriva”, conclude con aria triste. Quel momento d’incertezza sarà chiarito dall’occidentale che ben conosce i sottili equilibri birmani. “Proprio perché sta vincendo alla grande, la Signora non si è fatta vedere. Se fosse comparsa dichiarando la vittoria, in poco tempo si sarebbe raccolta una folla di centomila persone. Un incidente sarebbe diventato inevitabile”.

 

Mentre si diffondevano le voci di vittoria, ne circolavano altrettante su brogli già avvenuti e in corso. Ma più che per i brogli, denunciati dai social media, la vittoria certa della Nld è resa incerta dalle complessità della legge elettorale e dalla costituzione elaborata dai militari nel 2008, che garantisce loro il 25 per cento dei seggi, assicura al comandante del Tatmadaw, le forze armate, il potere di sciogliere le camere, e impedisce a Suu Kyi di essere eletta presidente. “I tre ministeri più importanti, Difesa, Interno e Affari di frontiera, sono riservati ai militari. E il sistema di eleggere il presidente non dipende dal voto popolare. Ecco perché Tatmadaw è e resterà l’organizzazione più potente di questo paese”, commenta Bertil Lintner, saggista che i birmani considerano uno dei più profondi conoscitori dei misteri del loro paese.

 

[**Video_box_2**]Il risultato potrebbe essere parzialmente modificato dal voto delle minoranze etniche (il 40 per cento della popolazione), il che spiega la cautela di Aung San Suu Kyi. “Dobbiamo continuare il nostro cammino pensando al bene del paese e con amore per il popolo senza alcuna discriminazione – ha dichiarato lunedì mattina – Poiché i risultati non sono ancora ufficiali sarebbe inopportuno fare altre dichiarazioni. Credo che il popolo sia in grado di comprendere”. Secondo il Myanmar Times, da oggi sino a gennaio (quando le due camere dovrebbero eleggere il presidente) la politica birmana sarà un continuo “roller-coaster”, un giro di montagne russe, un intrigo occulto per stringere accordi e alleanze. “Fino ad allora non sapremo come finirà questa storia. Tutti i giornalisti stranieri se ne saranno andati a seguire altre storie, e hanno già concluso che la Birmania è ormai libera e democratica, ma io credo che dovremo aspettare e osservare con molta attenzione”, commenta Lintner.

 

Lo scetticismo di Lintner deriva dalla sua storia personale, da un susseguirsi d’illusioni e disillusioni. Come quella di un anziano incontrato domenica di fronte a un seggio di Yangon. “Ho ancora paura”, ha detto. Col trascorrere delle ore, anche quel distinto signore potrebbe tranquillizzarsi. Anche da distretti lontani e controllati da maggioranze “etniche”, arrivano notizie di risultati favorevoli all’Nld, quelle che si sarebbero dovuti conoscere solo dopo lungo tempo. “I militari sono rimasti fermi a trent’anni fa. Si sono scordati che adesso c’è internet”, commenta l’occidentale che conosce le ombre del passato.

 

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