Un partito di nostalgici di Marx sta tenendo ostaggio la Spagna
Roma. Quando i deputati del Cup, il partito indipendentista e di estrema sinistra che ha conquistato dieci seggi al Parlamento della Catalogna alle ultime elezioni, si presentano tutti insieme – stempiati e con la barba gli uomini, con la frangetta e le treccine le donne, tutti con il pugno chiuso alzato e la stessa maglietta che indossano i loro figli all’assemblea di istituto del liceo – pensi a una banda di allegri nostalgici, di quelli che dopo gli anni di passione politica della giovinezza non hanno mai messo la testa a posto e ancora si aggirano per i centri sociali parlando di rivoluzione. In effetti il Cup, Candidatura de Unidad Popular, è proprio questo: un partito di marxisti idealisti che fa sembrare Podemos un gruppo di moderati, che vuole la rivoluzione socialista ma anche l’uscita della Catalogna dalla Spagna, dall’Unione europea e dalla Nato, e che in trent’anni di esistenza non ha mai voluto scendere a compromessi. Per questo è rimasto ai margini della politica catalana, sconosciuto ai più perfino in Spagna.
Ma dopo le elezioni di settembre, il Cup è diventato l’elemento dominante della maggioranza indipendentista al Parlamento catalano, il kingmaker del governo locale e, con il suo oltranzismo, un pericolo per l’unità nazionale della Spagna. Alle elezioni catalane di settembre Junts per Sí, la coalizione indipendentista che tiene insieme i nazionalisti di centrodestra e i repubblicani di centrosinistra sotto la guida del governatore uscente Artur Mas, ha ottenuto la maggioranza dei voti ma non quella degli scranni parlamentari, fermandosi a 62 seggi su 135. Questo ha reso fondamentali i dieci seggi del Cup, che dal 3 per cento alle elezioni del 2012 è passato all’8,21 per cento, con un successo mai visto nella sua storia. Senza i voti del Cup, Artur Mas non può diventare governatore e questo ha spinto il “president”, come si dice in catalano, ad abbandonare la sua tradizionale postura liberale, europeista e pro mercato e ad accettare i diktat degli estremisti. L’accelerazione data al processo secessionista, con la mozione indipendentista approvata dal Parlamento di Barcellona e l’inizio di uno scontro durissimo con Madrid, è merito soprattutto delle pressioni del Cup. Mercoledì il Tribunale costituzionale, su iniziativa del governo di Mariano Rajoy, ha sospeso la mozione e minacciato 21 alte cariche catalane di rimuoverle dal loro incarico in caso di disobbedienza. Ma i catalani, ancora con contributo del Cup, hanno sfidato il tribunale e detto che sono pronti a disobbedire. Perfino Artur Mas, che in attesa della riconferma è governatore facente funzioni, rischia il posto, ma nonostante le concessioni il Cup è oltranzista anche con lui, considerato troppo capitalista e coinvolto in alcuni scandali recenti di corruzione: nonostante l’alleanza di fatto sui temi del secessionismo per ben due volte, la prima martedì e la seconda ieri, il Cup ha votato contro la sua nomina a governatore.
[**Video_box_2**]L’inaspettato successo e la durezza ideologica del Cup in questi mesi si devono in gran parte ad Antonio Baños, il suo leader – o meglio, il suo capolista, perché il partito si dice contrario al leaderismo. Baños è un giornalista freelance e un musicista punk, e si distacca anche esteticamente dal resto del gruppo: veste con gilet e cravattini di colori sgargianti, un’abitudine presa dal nonno, vecchio dandy dell’intellighenzia di sinistra. E’ allergico alla puntualità e agli obblighi, anticapitalista, antieuropeo e contrario alla meritocrazia, e ha fatto il cursus honorum del movimentista di estrema sinistra: G8 di Genova, scudo umano nella Striscia di Gaza durante la seconda Intifada, pacifista in Iraq insieme ad altri 100 spagnoli nel 2003. Ma con una retorica brillante e ambiziosa è diventato una star durante i dibattiti televisivi, e ha suscitato nei catalani un sentimento di rivalsa sufficiente a conquistargli 300 mila voti. Pochi, ma abbastanza da preoccupare Mariano Rajoy.