“Bisogna capire che Israele è democrazia. Chi sgozza sta dall'altra parte”
Roma. Quel che è accaduto giovedì sera a Milano, il ferimento di Nathan Graff, “è un segnale che va ben al di là della strategia islamica degli accoltellamenti. La questione è tutta politica”. Walker Meghnagi è stato presidente della comunità ebraica di Milano prima di essersi dimesso per contrasti con la “sinistra” interna su questioni di bilancio. Non vuole parlare di Intifada, sia perché “non siamo in Francia o nei paesi della Scandinavia e qui gli episodi sono sporadici” sia perché – come spiegato dagli inquirenti del pool anti terrorismo e reati politici ieri pomeriggio – “è presto per parlare di eventuali collegamenti con l’Intifada dei coltelli”.
Il premier Matteo Renzi ha sottolineato, al termine del Consiglio dei ministri di ieri, “tutto il nostro affetto, amicizia e vicinanza alla comunità ebraica”. Non ci si deve stupire però, dice Meghnagi al Foglio, “se gli ebrei vengono presi di mira come secoli fa, attaccati da uomini incappucciati con il coltello in mano”. L’episodio dell’altra sera non è che la coda di una sequela sempre più corposa della caccia all’ebreo: Parigi, Amsterdam, Copenaghen, perfino oltreoceano, a Brooklyn. Cambiano solo le modalità, le armi usate, ma il canovaccio e gli obiettivi sono i medesimi. “La responsabilità è di questa politica fatta a caso, senza considerare le conseguenze delle decisioni che si prendono. Penso al boicottaggio deciso in questi giorni dall’Unione europea”, dice Meghnagi: “Ma di cosa stiamo parlando? L’Europa ha aperto all’Iran, permettendogli di fare tutto ciò che vuole, e si mette a marchiare i prodotti israeliani? Quando in Africa, tra il Sudan e i paesi circostanti, è scomparso un milione di cristiani, l’Europa dov’era? E quando venivano stuprate le donne yazide, cosa diceva François Hollande, dai suoi uffici all’Eliseo? E la Libia invasa da Nicolas Sarkozy senza tener conto di quel che sarebbe accaduto dopo?”. “Io – dice l’ex presidente della comunità ebraica di Milano – non voglio parlare di Shoah. E’ una ferita ben presente, che rimane, ma è il passato. Io voglio guardare al presente e al futuro. E non vedo nulla, in questa Europa. Il boicottaggio incide sull’1,4 per cento del prodotto interno lordo israeliano. Cosa si pensa di ottenere, con questa misura? E’ solo ideologia, pura e vergognosa ideologia. Nient’altro. Azioni come queste fomentano i cani sciolti, siano o no musulmani”. Proprio come accadde nell’ottobre del 1982, pochi giorni prima dell’attentato al Tempio di Roma che avrebbe causato la morte di Stefano Gay Taché, bimbo di tre anni: “Ricordo bene – e non lo dimenticherò – che Luciano Lama passò con una bara vuota davanti alla sinagoga”. La colpa, quindi, “è solo politica. E’ fondamentale capire che Israele è una democrazia, mentre il mondo non democratico sta dall’altra parte della barricata. Chi sgozza la gente – uomini e donne e vecchi e bambini – non è Israele, ma sta sempre dall’altra parte”.
[**Video_box_2**]Ragionamenti simili in passato hanno portato le autorità a rafforzare la sicurezza di Meghnagi, in particolare quando chiese pubblicamente agli imam residenti in Italia di prendere posizione contro chi decapita gli infedeli: “Non ho mai detto una parola contro la presenza di moschee in Italia, ma rimango convinto che esse debbano essere case di vetro, trasparenti, dove si sa quel che accade dentro”. L’importante, anche davanti agli accoltellamenti, dice, “è andare avanti a testa alta. Uscire, non chiudere le scuole. Noi, come comunità, siamo tutti uniti. Pur nel timore. Non bisogna dargliela vinta”.
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