Tra paura e stordimento, i parigini provano a riprendersi la loro città. Lettera da Parigi
Parigi. Due uomini seduti al bancone di una pasticceria a due passi dal Trocadero a Parigi chiacchierano stancamente di sport, del Paris Saint Germain e di Ibrahimovic. C'è il sogno Champions League, un campionato da vincere. Poi cala il silenzio. In tv trasmettono le immagini di una donna. Ha in mano una fotografia, la indica: "E' lui, mio figlio". Chiede informazioni, dice che era al Bataclan venerdì sera. I due signori al bancone si guardano, il loro sguardo cade sulla prima pagina del Figaro che uno tiene sotto il gomito. "La strage a Charlie Hebdo era acqua fresca a confronto, ci si poteva illudere che fosse un modo per colpire la satira. Ora è evidente che la guerra è contro tutti noi". Rimangono in silenzio a guardare le immagini sullo schermo, le stesse dalla mattina.
I fatti di venerdì notte sono immagini di corpi senza vita, sono numeri, impressionanti, sono sconcerto e rabbia. Sono un susseguirsi di dichiarazioni, di prese di coscienza, sono soprattutto la vita di una città che prova a capirci qualcosa in tutta questa confusione.
Le cifre dei morti e dei feriti crescono di ora in ora, François Hollande ha proclamato lo stato di allerta, il sindaco di Parigi ha consigliato ai cittadini di restarsene a casa, di uscire solo se necessario. E sino a mezzogiorno Parigi sembra una città spenta, avvolta dall'attesa di qualcosa, quasi non riuscisse a capire se tutto quello che i social network, i siti, le televisioni hanno raccontato fosse davvero successo, fosse vero. Per le strade la gente procede lentamente quasi anestetizzata. Non c'è silenzio, ma un vociare strascicato, faticoso, sussurrato. Non sembra di essere in una caotica capitale europea, sembra piuttosto di trovarsi al centro di una processione, accompagnata da una litania.
È elaborazione, forse ripresa, sicuramente frastornamento. É la paura che vada in scena un secondo atto di uno spettacolo terrificante. Ma col passare delle ore, quella paura scema pian piano, si fa meno invadente, fa uscire la gente di casa. La città si rianima, tornano i turisti per le strade, ma anche coloro che la città la vive tutto l'anno. É ripresa degli spazi, della quotidianità, nonostante i musei chiusi, le bandiere a mezz'asta, i fiori nei luoghi degli attentati.
[**Video_box_2**]Sotto la Tour Eiffel, tra gendarmi armati di fucile, militari in mimetica e polizia in total blu, ci sono baci, bimbi che gincanano i passanti in monopattino, qualcuno cade, batte la faccia, piange, si rialza, continua. Continua come Parigi, nonostante un attentato che non si può archiviare nè dimenticare, ma che non può costringere tutti a chiudersi in casa, perché "sarebbe questo il regalo più grande che faremmo ai jihadisti", dicono alla televisione francese.
Parigi é una città che vive nonostante tutto, che si gira in un unico movimento verso lo stridore di una sirena, ma che prova a godersi, suo malgrado, una nuova giornata.