La guerra fasulla
Roma. Dopo gli attentati a Parigi, “la Francia è in guerra”. Lo ha detto ieri il presidente della Repubblica francese, François Hollande, nella sua solenne allocuzione al Parlamento riunito in seduta comune. Una guerra ancora tutta da combattere, con nuove misure di sicurezza sul fronte domestico e interventi militari su quello esterno.
Nella mattinata di venerdì scorso, il presidente americano Barack Obama utilizzava un approccio molto diverso. Intervistato dalla Abc, affermava quasi trionfante che “fin dall’inizio il nostro obiettivo è stato contenere l’Isis e lo abbiamo contenuto”; per poi aggiungere: “Abbiamo fatto progressi anche nel ridurre il flusso di combattenti stranieri dello Stato islamico”. Il tutto poche ore prima della mattanza di Parigi a opera dello Stato islamico. La stampa italiana e internazionale, che ha passato anni a irridere il “victory speech” di George W. Bush dopo la guerra in Iraq, quello a bordo della portaerei Lincoln per intenderci, è sembrata non accorgersi dell’inciampo obamiano. Salvo il Wall Street Journal che ieri ha scritto: “Alcuni accusano Obama di scarso tempismo, ma la verità è più grave: la frase di Obama è esattamente quello che egli crede, o almeno ciò che vorrebbe gli americani credessero”. La guerra che per Hollande è tutta da preparare, per Obama sta andando già benone.
Se si cambia di nuovo sponda dell’Oceano, ecco un’altra interpretazione possibile della parola “guerra”: ieri il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, ha detto che “l’importante è reagire a queste azioni di guerra senza sentirsi in guerra anche noi. Sarebbe il regalo più grande che possiamo fare ai terroristi”. Grande, insomma, è la confusione sotto il cielo occidentale. Come districarsi? Un numero crescente di analisti ricorre alla categoria della “phony war”, cioè la “guerra fasulla”: quella fase storica, iniziata nel settembre 1939, in cui gli Alleati dichiararono sì guerra a Hitler, ma per mesi si astennero da qualsiasi offensiva o controffensiva degna di questo nome.Essere in guerra ma non fare la guerra, questo è il problema.
Perché gli Alleati nel 1939 annunciarono la loro discesa in campo, salvo poi non muovere truppe in maniera decisa; e così Hitler avanzava, prendeva coraggio, arrivando a bombardare navi e città inglesi. Per tornare ai nostri giorni, la strage nella redazione di Charlie Hebdo è dell’inizio del 2015, piombata sulla capitale francese in tandem con le uccisioni nel supermercato kosher, e questo per limitarsi alla più recente cronaca parigina. In guerra, insomma, gli europei ci sono già, non dalla dichiarazione di ieri né dagli attentati di venerdì scorso. Né muoversi al ralenti è la sola conseguenza di quello che finora è stato l’atteggiamento delle principali leadership occidentali. Uno dei corollari più evidenti è il feticcio della “legalità internazionale” come unico motore immobile della stabilizzazione di quanto accade fuori dai nostri confini e condiziona quel che avviene al loro interno. Se l’Onu è l’unico abilitatore della trasgressione del principio di sovranità, l’occidente si costringe a una gestione goffa di uno dei focolai stessi dello Stato islamico, quello a cavallo tra Siria e Iraq. Lì America ed Europa sono arrivate al paradosso di assistere a un intervento muscolare della Russia (che non piacerà ma è formalmente legittimo), limitandosi finora da parte loro a un’ammaliante quanto inefficace “guerra pulita” dall’alto, a suon di droni o poco più.
[**Video_box_2**]Scrisse nel 2003 André Glucksmann, intellettuale francese appena scomparso: “Possiamo certo apprezzare che i primati di disumanità della Seconda guerra mondiale siano rimasti insuperati, ma bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare. Il merito del relativo blocco non è delle sirene idealiste, ma dell’enormità degli arsenali distruttori che ha messo un freno all’ascesa verso gli estremi. I regimi totalitari e bellicisti soccombono di rado al fascino di uno stato di diritto cosmopolita, quando invece le ingiunzioni crudeli della dissuasione nucleare o della dissuasione classica arrivano spesso a contenerli e a richiamarli alla prudenza”. Non tanto l’intelligence ci è mancata finora, quanto l’intelligenza di una realtà e di un nemico impossibili da cambiare con la nostra attuale drôle de guerre.