Essere falco oggi
New York. Che la vita dei falchi sia complicata, anche quando l’occidente ha ancora negli occhi l’orrore casalingo del fondamentalismo islamico, lo si capisce leggendo la tortuosa proposta strategica di Hillary Clinton sulla lotta allo Stato islamico. La candidata democratica, si sa, è di specie più rapace rispetto a Barack Obama, e durante la sua permanenza nell’amministrazione di battaglie sulla postura dell’America nel mondo se ne sono consumate, ma giovedì al Council on Foreign Relations ha offerto “una intensificazione e un’accelerazione della strategia del presidente”. Difficile afferrare cosa significhi accelerare e intensificare un punto fermo, ma la faccenda politica è chiara: si tratta di affermare una diversità rispetto a Obama travestendola da continuità. Il risultato è una formula pragmatica con più muscoli, priva di “boots on the ground”, ma senza la foglia di fico del contenimento.
Ora si tratta di “distruggere”. E non soltanto il Califfato: “Dobbiamo perseguire una strategia antiterrorismo comprensiva, che inserisca la nostra lotta contro lo Stato islamico dentro la più ampia iniziativa contro il jihadismo radicale”. Naturalmente l’America non è in guerra con l’islam, ma, ha detto Hillary, “non possiamo chiudere gli occhi di fronte al fatto che c’è una distorta e pericolosa corrente estremista nel mondo musulmano che continua a espandersi”. Per trovare l’introvabile punto di equilibrio, Hillary si è prodotta in proclami intrisi di moral clarity, seguiti da una lunga serie di avversative quando si trattava di far precipitare i princìpi in una linea strategica sul campo. La grande differenza con Obama riguarda la “parziale” no-fly zone che la candidata imporrebbe nel nord della Siria, lungo il confine turco.
E’ un impegno militare che mette Hillary ideologicamente più dalle parti di un John McCain che da quelle della Casa Bianca. E allo stesso tempo Hillary non lega strettamente la lotta allo Stato islamico e la cacciata di Assad, questione di priorità. Quella che è venuta fuori dal discorso newyorchese è una Hillary rapace ma con juicio, una liberal corretta con il pragmatismo isolazionista di Obama. Il falco è specie in via di evoluzione, se non di estinzione, ed è alla ricerca di un nuovo habitat. Lo storico neoconservatore Robert Kagan aveva fatto un’apertura alla politica estera di Hillary: “Se seguirà la politica che pensiamo seguirà, è qualcosa che potremmo chiamare neocon, ma chiaramente i suoi sostenitori non la chiameranno così. La chiameranno in un altro modo”, ha detto lo scorso anno. Non è chiaro se la linea articolata da Hillary corrisponda ai desiderata di Kagan, ma al momento appare troppo risciacquata nell’obamismo per poter affascinare quella sensibilità. E una no-fly zone “limitata” difficilmente può fare la differenza fra due visioni del mondo.
[**Video_box_2**]Ma il falco, appunto, attraversa un momento complicato, ed è vero anche a destra, dove Marco Rubio, titolare di una dottrina fotocopiata dagli archivi del neoconservatorismo, è finito sotto la lente critica dei suoi stessi consiglieri, cioè la crème del pensiero neocon. Il motivo? E’ troppo falco. Alcuni, come l’analista Elliot Abrams, lo hanno criticato apertamente per aver rinunciato alla possibilità di usare la forza in Siria nel 2013 (per Rubio era un’iniziativa troppo leggera) altri intorno a lui mugugnano parole di dissenso per l’intransigenza del candidato. Rubio vuole superare tutti a destra quando si parla di politica estera, ma anche i suoi consiglieri più tosti suggeriscono un minimo di prudenza: anche il falco conservatore deve trovare il suo habitat.