Lo sterminio dei cristiani. Come reagire a una tragedia moderna
E’ un momento tragico per l’Europa e il mondo. Un fanatismo barbaro e disumano ha colpito Parigi, nel cuore del nostro continente e della nostra civiltà. Quella del terrorismo fondamentalista è una minaccia ai valori di libertà, democrazia, solidarietà e convivenza civile. La strategia, folle e lucida allo stesso tempo, dell’estremismo è chiara: cercare di insinuare nella nostra società sentimenti come la paura, la disgregazione, la tentazione di chiudersi, l’odio. E la strage dei ragazzi di Parigi ha posto in modo brutale l’opinione pubblica davanti alla questione, drammatica e cruciale, della violenza a sfondo integralista che mira a cancellare la nostra cultura, la nostra storia, i nostri valori.
Il problema, in realtà, è purtroppo molto più antico. E riguarda strettamente il rispetto, nella comunità internazionale, dei diritti universali dell’uomo, oscurati, oltraggiati e negati in tante parti del globo. La persecuzione a carattere religioso, infatti, non è mai a se stante, ma è parte della violazione, feroce e sistematica, delle libertà fondamentali dell’uomo, di cui il diritto a professare, a predicare, persino a cambiare la propria fede religiosa, senza dover subire discriminazioni o addirittura violenze, è elemento fondamentale.
La strage di Parigi, sarebbe irragionevole non ammetterlo, è il diretto risultato della predicazione dell’odio contro il “diverso” e delle persecuzioni che le minoranze religiose e, in particolare, i cristiani, soffrono nel mondo.
Certo, non sono solo i cristiani, nelle loro diverse articolazioni, a patire oppressione e soprusi, ma tanti altri gruppi religiosi, culturali ed etnici. Vittime di pregiudizi, di ostilità, di discriminazioni, di vere e proprie violenze, da parte di gruppi terroristici, maggioranze aggressive o di stati e legislazioni totalitari.
Ma il fondamentalismo e il radicalismo di matrice islamista, esplosi di recente e alimentati all’interno di vaste regioni dell’Africa e del medioriente, hanno tragicamente accresciuto le dimensioni di questa vera e propria emergenza planetaria. E spicca, tra tutti, il dato numerico che riguarda le comunità cristiane, in termini assoluti le più perseguitate e con il maggior numero di vittime. Comunità fiorenti, antiche e radicate, abituate alla convivenza, al dialogo e alla pace, sono state completamente cancellate in diverse aree del mondo o ridotte a sparuti gruppi, minacciati e vessati. Cristiani in ogni latitudine decapitati, crocefissi, bruciati vivi, interpellano la coscienza di ogni uomo. Papa Francesco ha lanciato alto il suo grido di dolore, parlando di un martirio enormemente più grave ed esteso di quello dei primi anni del Cristianesimo. E’ una denuncia che non può lasciare indifferenti.
La comunità internazionale, dopo anni di disattenzione e di silenzi, sta finalmente cominciando a prendere coscienza della gravità del fenomeno che è una minaccia non solo alla libertà religiosa dei singoli, ma – come ci insegnano i due attentati di Parigi – alla democrazia e alla convivenza per tutta la comunità internazionale. La pace religiosa, la tolleranza, la collaborazione tra le diverse fedi è, di converso, un fattore determinante di benessere, di equilibrio sociale e di sviluppo economico.
Sono appena tornato da un viaggio in oriente, che mi ha portato anche in Indonesia. In quel paese, che sta conoscendo una grande crescita economica e d’influenza politica, vige fin dalla sua fondazione una Costituzione democratica che riconosce l’eguaglianza, il rispetto, la libertà per tutte le religioni. L’Indonesia, con 205 milioni di fedeli musulmani, è il più grande stato del mondo a maggioranza islamica. In quel paese, il cui modello dovrebbe essere conosciuto e promosso, gli esponenti delle diverse religioni non solo collaborano tra loro, contribuendo allo sviluppo sociale, culturale ed economico dello stato, ma hanno rapporti di vera e fraterna amicizia. I leader delle comunità musulmane che ho incontrato hanno sempre tenuto a sottolineare la natura liberale e moderata dell’islam indonesiano e la ferma condanna dell’estremismo e della violenza religiosa. Nel considerare ogni uomo come figlio di Dio, si riconosce in lui la comune radice e, per questo, diventa portatore di uguali diritti e di pari dignità.
[**Video_box_2**]Sono, questi, princìpi universali, gli unici che possono condurre la comunità internazionale verso un futuro di pace, sviluppo e benessere. Per questo va respinta con decisione la sfida del terrorismo fondamentalista che spesso maschera con pretesti religiosi la sua voglia di dominio e di sopraffazione. Scendere sul loro terreno, che è quello dello scontro di civiltà o di religione, sarebbe un grave errore, dalle conseguenze difficilmente valutabili. Quella contro il terrorismo fondamentalista – che rappresenta oggi e probabilmente negli anni a venire la più grave minaccia alla pace del mondo – sarà una lotta impegnativa e complessa che va condotta in ogni luogo e senza quartiere non solo con le necessarie azioni di forza e con il rafforzamento della sicurezza, a cui ogni cittadino ha diritto, ma anche con le armi della cultura, del dialogo, del diritto. E con un dispiego d’intelligenza e di lungimiranza che devono essere almeno pari alla indispensabile intransigenza. Molti errori di valutazione sono stati compiuti nel nostro recente passato. Ora non si può più sbagliare.