Ragioni liberal per andare con Putin. Parla Kuttner
New York. Quando parla della politica dell’amministrazione Obama in Siria e di alleanze sgradevoli per sconfiggere lo Stato islamico, Robert Kuttner, direttore del magazine liberal The American Prospect, che ha fondato nel 1990 per rispondere alla crescente presenza di giornali conservatori, si rifà alla più blasfema ed efficace delle coalizioni della storia recente, la più richiamata in questi mesi: “Putin è una persona terribile, ma Stalin era molto peggio e ci siamo alleati con lui per sconfiggere Hitler. E abbiamo fatto bene”.
Per sostenere da sinistra l’opportunità di una convergenza immediata con la Russia sul campo, Kuttner parte da una premessa: “La distruzione dello Stato islamico è la priorità assoluta, perché è l’attore che minaccia in modo più grave l’Europa e l’occidente. Per come si sono messe le cose in Siria, a questo punto dobbiamo fare delle distinzioni: Putin e Assad sono terribili, ma lo Stato islamico è peggio. Esiste un’alternativa efficace a una coalizione militare con la Russia e con il governo siriano? Io non la vedo. A meno di un’invasione militare in stile Iraq, opzione che fortunatamente è implausibile”.
Non si tratta però di una resa senza condizioni alle strabordanti voglie geopolitiche di Putin. “Molti segnali dicono che la questione della permanenza di Assad alla guida del paese può essere risolta diplomaticamente, esiste lo spazio di manovra per negoziare la sua dipartita, magari grantendo un esilio onorevole e dilazionando la transizione. Putin sta aprendo alla possibilità di un futuro della Siria senza Assad. Certo, il prezzo che l’America paga immediatamente è dover riconoscere che Mosca è l’unico broker nella sua sfera d’influenza mediorientale. Ma è sfuggita a qualcuno la cosa?”, dice Kuttner. Il problema nell’analogia con l’alleanza sovietica non è però la guerra, lo sforzo bellico per eliminare il nemico comune. Quella, una volta stabiliti i termini, è la parte più facile (si fa per dire). La parte più difficile è la conferenza di Yalta, le gestione dei rapporti di forza nella fase successiva, quella del riequilibrio e della di stabilizzazione.
Ed è su questo aspetto che Kuttner vede Putin non si dica come l’uomo della provvidenza, ma almeno come quello della stabilità, insperato promotore di un possibile cambiamento delle dinamiche regionali. “In uno scenario senza Assad e senza e la sua cerchia di potere alawita – ragiona Kuttner – è possibile immaginare che il governo della Siria finisca nelle mani dei sunniti, che sono la stragrande maggioranza della popolazione. Difficile immaginare un post Assad con gli alawiti ancora in sella, loro che sono così odiati dal popolo. Questo significherebbe spezzare l’asse sciita, scontentare l’Iran e Hezbollah, ma soprattutto significherebbe staccare l’influenza delle grandi potenze dalla divisione fra sciiti e sunniti. Ovviamente sarebbe una cosa graditissima agli alleati arabi che occultamente sostengono lo Stato islamico”.
[**Video_box_2**]Per Kuttner l’occidente non può più accettare di dividere il mondo islamico secondo l’appartenenza religiosa: “Dal nostro punto di vista, dovremmo dividere il medio oriente in estremisti e moderati. Da una parte quelli con cui è possibile parlare, prendere accordi, dall’altra i fanatici che vogliono soltanto farci saltare in aria. Su questa base Putin può essere un alleato, perché anche la Russia ha un interesse a combattere gli estremisti”. Infine, spiega il direttore di The American Prospect, anche la sinistra deve capire che questa terribile alleanza è inevitabile, perché Putin ha in mano la più potente delle armi: “I rifugiati. Purtroppo è quello l’asset politico più importante che la Russia ha a disposizione nelle trattative: milioni di persone che cercano di raggiungere l’occidente, una tragedia intollerabile che non potrà che peggiorare se non si ferma la guerra civile in Siria”.