Colpevoli silenzi e reazioni insufficienti dietro il dramma dei cristiani
La Comunità ebraica non può rimanere indifferente davanti alle persecuzioni religiose che colpiscono oggi i cristiani in molte parti del mondo. La storia ebraica è segnata sistematicamente da sofferenze e persecuzioni; sappiamo cosa significa soffrire perché si è portatori di una differenza religiosa; l’idea che ai nostri giorni qualcuno debba soffrire di limitazioni di libertà di culto, maltrattamenti, espulsioni, massacri per la sua differenza di credo è ripugnante. Non avremmo pensato, e ne siamo stupiti, che nel Ventunesimo secolo dovessimo apprendere di persecuzioni a danno di cristiani. La solidarietà e la simpatia con chi è perseguitato è per noi non soltanto doverosa, ma sincera e spontanea. Fermo restando lo sdegno, è opportuno riflettere su tre aspetti problematici.
Il primo è la rimozione. La persecuzione dei cristiani, in un paese cristiano come l’Italia, non è notizia che solleva attenzione, l’attenzione che merita. O forse sono i sistemi di informazione che non la mettono al centro dell’attenzione. L’attenzione che viene oggi dedicata in queste pagine è una significativa eccezione. E’ come se ci fosse, sia per chi informa che per chi viene informato, una barriera geografica oltre la quale può succedere di tutto: un attentato, un massacro, uno stupro collettivo se avvengono in certe aree diventano notiziole che vanno e passano. Roba da paesi incivili, così si ragiona con un fondo mai spento di superiorità occidentale. Che ci vadano di mezzo dei cristiani o altri per la loro fede è questione di secondo conto.
Il secondo aspetto, strettamente collegato al precedente, è l’indifferenza. Si rimane perplessi dalla timidezza delle reazioni cristiane davanti all’entità degli orrori. Nell’esperienza della comunità ebraica, purtroppo vi sono stati tanti episodi recenti di intolleranza antisemitica; li abbiamo denunciati con forza e abbiamo ricevuto la solidarietà e la simpatia di molti. Per i cristiani perseguitati avremmo voluto dimostrare la nostra simpatia e solidarietà scendendo in piazza e manifestare, come molti hanno fatto per noi. Trovare qualcuno a cui esprimere solidarietà, per non parlare di una sponda organizzativa, è stata un’ardua impresa. Una volta con la Comunità di S. Egidio pensavamo di fare un corteo, ci è stato detto che per fare un corteo ci vogliono tante persone e non le avremmo avute; ci siamo limitati a un palco davanti al Colosseo. Nel pubblico e nel palco assenze importanti. E’ un sollievo che Papa Francesco abbia iniziato a denunciare pubblicamente i fatti. Potrebbe essersi trattato finora di una scelta politica prudenziale, che preferisce gli interventi discreti al clamore mediatico, per agire con altri mezzi e strade. Vorremmo essere confortati che è così veramente. Ammesso che il silenzio serva a qualcosa e non sia una scusa.
[**Video_box_2**]Il terzo aspetto, anche questo legato ai precedenti, è quello della poca chiarezza nella denuncia. Per fare un esempio, non molti anni fa era stata organizzata una delle poche manifestazioni di solidarietà una sera a Roma in piazza SS. Apostoli e mi era parso doveroso essere presente. Ma me ne sono andato quando un oratore ha detto che “in Terra Santa i cristiani sono perseguitati”, senza dire in quale parte della Terra Santa questo avveniva e da parte di chi veniva la persecuzione. La prudenza, se così si può chiamare, proibisce di dire che si tratta di fanatici musulmani nei territori della Autorità palestinese e in tanti altri paesi vicini, e in molti casi purtroppo sono gli stessi cristiani perseguitati a preferire il persecutore a chi potrebbe garantirgli protezione e vita migliore. Quando poi non ci sono interessi politici e di affari che impediscono di citare i nomi dei paesi potenti dove l’intolleranza è legge.
La solidarietà per i perseguitati è un dovere che non deve conoscere barriere, astuzie e riserve politiche.
*Riccardo Di Segni è Rabbino capo della Comunità ebraica di Roma