I soldati di Obama
New York. Domenica dalla Malesia Barack Obama ha detto che vuole andare “al fondo della questione”, dove la questione sono le sistematiche manipolazioni in senso positivo dei report dell’intelligence americana sulla situazione in Iraq e Siria e sull’efficacia degli sforzi bellici contro lo Stato islamico. La disastrosa diserzione di massa dell’esercito iracheno di fronte all’avanzata delle truppe del Califfato nei cable destinati a Washington è diventata una innocua “redistribuzione” delle forze, mentre bombardamenti infruttuosi si trasformavano in manovre decisive per il contenimento dello Stato islamico. Episodi come questi hanno fatto scattare un’inchiesta del governo già a settembre, ma ora l’ampiezza e la profondità del problema sono aumentate a dismisura, e le informazioni che trapelano da due commissioni della Camera che stanno indagando raccontano di una pratica generalizzata, invalsa tanto al Pentagono quanto nella comunità di intelligence.
Non sono soltanto le versioni edulcorate di qualche ufficiale ansioso di lisciare il pelo della Casa Bianca nel verso giusto. Al centro dell’indagine c’è il Central Command (Centcom), la sezione del Pentagono responsabile di tutte le operazione in medio oriente, con sede a Tampa, in Florida. Il capo del Centcom, il generale Lloyd Austin, ha accolto “con piacere” l’inchiesta, e in una testimonianza giurata al Congresso ha detto di non avere mai ordinato di compilare rapporti “addolciti” per dare a Washington l’impressione che la guerra andasse meglio di come andava in realtà.
Il New York Times riporta che funzionari militari e del Congresso ora dicono che alcuni documenti sono stati cancellati dagli archivi, ed estende il raggio del problema oltre i confini dell’operazione contro lo Stato islamico: “La commissione non sta esaminando soltanto rapporti su Iraq, Siria e sullo Stato islamico, ma anche sull’Afghanistan e altre aree sotto la responsabilità del Centcom”.
Il capo della commissione delle Forze armate, Mac Thornberry, dice che “ogni volta che viene fuori un’accusa che un documento d’intelligence sia stato alterato, questo genera una seria preoccupazione”. Seria preoccupazione soprattutto quando gli attentati di Parigi, uniti a quelli di Beirut e alla bomba sull’aereo russo, prove delle capacità globali dello Stato islamico, contrastano con mesi e anni di dichiarazioni del governo americano sui limiti di una “squadra di dilettanti” del terrorismo.
L’inchiesta sulla manomissione dei report del Pentagono non è solo un indizio intorno alla sottovalutazione obamiana del problema. E’ la prova che la versione del Pentagono guerrafondaio che s’oppone alla volontà del Nobel per la Pace di cambiare la storia è un prodotto della fantasia liberal. Obama – questa la rappresentazione – è il presidente che ha cambiato corso dopo le scelleratezze della guerra al terrore di Bush, ma in questo processo di radicale cambiamento si trova contro un Pentagono che vuole menare le mani a ogni occasione, fomentato dal leggendario complesso militare-industriale che si nutre di guerre e destabilizzazioni. Nella vulgata la gerarchia militare è sempre quella che consiglia più aggressività, che vuole i “boots on the ground”, che suggerisce di esportare la democrazia con i droni e i carri armati.
Negli anni di governo obamiano, però, è stato più spesso il côte diplomatico a chiedere azioni forti. Di regime change in Siria si è parlato più fra i civili di Foggy Bottom e del Consiglio di sicurezza nazionale che fra le divise dei generali. Così è stato anche in Libia, dove la linea interventista Hillary Clinton, Samantha Power e Susan Rice ha avuto la meglio su quella più prudente del Pentagono. Obama vuole arrivare in fondo a una indagine che nemmeno in superficie sa di complotto della Difesa per trascinare l’America in un’altra guerra sul campo. Il problema è l’opposto: le indicazioni militari tendevano a incoraggiare l’approccio pragmatico e minimalista dell’Amministrazione.
[**Video_box_2**]Il dipartimento della Difesa tradisce un certo imbarazzo quando cita un’inchiesta interna come ragione per non offrire le testimonianze dei più alti ufficiali del Centcom alle commissioni d’inchiesta, e l’allargamento dello scenario dell’intelligence politicamente “ritoccata” anche all’Afghanistan avvolge tutto il processo decisionale di Obama in un ulteriore strato di “fog of war”. Ma di certo non si può dire che il Pentagono sia guidato da una banda di cowboy.