“Ma le bombe no, eh!”. Perché i cristiani sottovalutano la pratica genocida contro le comunità cristiane
Argomentare una pratica genocida nei confronti delle comunità cristiane nel vicino oriente attraversato dalla guerra per bande, è superfluo, salvo per chi non voglia vedere. Però sono molti a non voler vedere, cristiani benestanti compresi. In quelli che vedono e soffrono, pesa la lunga abitudine a un’idea di pace che si rassegna alla persecuzione: alla persecuzione degli altri, perché i perseguitati, e i loro vescovi e patriarchi, invocano senza riserve una forza opposta alla violenza dei jihadisti, che difenda la vita delle persone e la storia di comunità antiche estirpate spietatamente. Non so se i cristiani lontani dalla mischia abbiano fondamenti limpidi e risolutivi. Che rapporto passi per loro fra il consiglio di porgere l’altra guancia e il bisogno di una forza giusta e perciò legale che fermi la mano che percuote (e sgozza e decapita e incendia). E con che animo sentano di porgere, con le parole che pronunciano e con le azioni che omettono, guance d’altri inermi e braccati. (E’ troppo banale, o addirittura volgare, suggerire un complemento: Non porgere la guancia d’altri?). Dico dei cristiani lontani – almeno provvisoriamente – dalla mischia, non perché la loro condizione sia diversa da quella di chi, come me, possa dirsi cristiano non di fede ma di cultura, se non per i vincoli peculiari loro imposti dalle parabole e dalle metafore della loro scrittura. Del resto ci sono per tutti parole estranee alle scritture e tuttavia capaci di intimidire e ipnotizzare. Quando il Papa Francesco, in uno dei suoi sciolti discorsi da un aereo di ritorno, evocò francamente la necessità di una forza che fermasse l’obbrobrio del sedicente Califfato, si affrettò a concludere, come per rassicurare l’uditorio, o per rassicurare se stesso, “Ma le bombe no, eh!”.
“Le bombe”, quel giorno, in quei giorni, stavano finalmente, tardivamente, arrestando l’avanzata dei miliziani del Califfato che avevano preso Mosul e continuavano verso il monte Shingal-Sinjar fino a lambire i confini di Erbil. In quella avanzata stavano travolgendo yazidi e cristiani di ogni confessione, trucidando, stuprando, schiavizzando, saccheggiando. “Le bombe” erano americane, e peraltro misurate prudentemente, e senza loro nessun altro sostegno sarebbe venuto ai fuggiaschi. Si può chiedere a un Papa di auspicare “le bombe”? Mah: “Le bombe” sono affare di Cesare e dei suoi colonnelli, e non vorrei mai essere nei panni di un Papa. Si può chiedergli, penso, di non scongiurarle, quando si guarda quel monte e quei fuggiaschi e si sentono le loro preghiere. Fior di pacifisti negli stessi giorni si convocavano a marce “contro le bombe”: non essendovi bombe se non quelle americane sull’avanzata dell’Isis, era contro quelle che si marciava. Contro quei fuggiaschi.
Ma questa è una mia inutile inveterata litania. Ho incontrato quelle ragazze yazide, quei ragazzi cristiani di Qaraqosh, ho sentito l’arcivescovo di Erbil che, sia pure avvertendo che gli costa caro, le “implora”, le bombe, e gli scarponi sul suolo. Ma non ci dovrebbe essere bisogno di andare fin là e incontrare quelle persone disperate e offese. Oltretutto arrivano qua, ogni approdato è un loro ambasciatore, sicché a non conoscerli bisogna non voler sentire. Io non saprei dire più la frase cui in passato mi ancorai, che esistono tanti islam quanti sono i musulmani. Però non credo nemmeno che esistano due islam, quello fanatico e quello moderato. Esistono bensì innumerevoli musulmani moderati, cioè umani ricchi di umanità, ma non hanno né istituzioni né persone a rappresentarli, mentre l’islam fanatico, pur diviso come succede sempre agli invasati, ha una sua compattezza e offre una bandiera al rancore, all’odio, alla frustrazione di una così vasta parte del pianeta. Sostenere i musulmani che vogliono bene all’umanità, e sono così spesso vittime loro stessi degli invasati, è importante, ma è decisivo battere gli altri. I primi sono persone e famiglie, gli altri sono un’armata conquistatrice.
[**Video_box_2**]C’è il punto più debole per tutti: per voi che appoggiaste, e ancora sostenete, la “guerra” di Bush in Iraq, e per chi, come me, la osteggiò. (O, a parti apparentemente rovesciate, per quelli fra voi che osteggiarono l’intervento in Libia e chi, come me, lo credette necessario a sventare il massacro di Bengasi…). Il punto più debole è questo: che i satrapi del vicino oriente sono finora la miglior garanzia (no: la meno peggiore) rispetto ai criteri decisivi per valutare la natura di un regime civile: la libertà delle donne, e la libertà religiosa e di pensiero. Libertà delle donne e libertà religiosa sono uscite stritolate in Iraq, o nell’Egitto dei Fratelli. In Siria, basta la tragedia di Aleppo a mostrare lo scempio della cristianità. I dittatori “laici” (finché convenga loro: Saddam traslocava dal baathismo all’islamismo) sono il male minore: questa la lezione che ci viene ripetuta all’infinito dai realisti contemporanei. I quali puntano a una piccola domesticazione dell’Isis che ne autorizzi l’accoglienza nella comunità internazionale: decapitare non è un problema, come conferma l’Arabia Saudita. Però nelle vilipese primavere le donne furono protagoniste, e la libertà religiosa non era messa in causa. Bisognava fare qualcosa, prima del passaggio di stagione?
Cose dai nostri schermi