Le confessioni delle fidanzatine dello Stato islamico
Le chiamano “le fidanzatine dello Stato islamico”, sono le ragazze che si sono unite alla guerra di al Baghdadi, quelle che scappano di casa, dal Regno Unito o dalla Francia, dopo essere state indottrinate spesso da altre donne predicatrici (in aumento, Channel 4 nel Regno Unito ne ha parlato in un documentario) per trasferirsi in Siria, a Raqqa, o quelle che già erano lì, e si sono adattate al nuovo corso. Per sopravvivenza più che per appartenenza, ma quando diventi la fidanzatina dello Stato islamico la differenza, se c’era, non si vede più: fai parte di quel sistema, se arriva la tua vicina nel quartier generale della “polizia morale” di Raqqa, lasci che le siano inflitte le pene previste, le venti frustate perché l’abaya è troppo stretta, le cinque frustate perché si è truccata, e mentre senti le sue grida nell’altra stanza, fissi la lampadina che pende dal soffitto.
Il New York Times ha raccontato la storia di tre ragazze di Raqqa, una amava Hollywood, l’altra più Bollywood, tutte studiavano, leggevano romanzi, d’estate si mettevano il costume da bagno e le gonne che lasciavano le ginocchia scoperte, andavano alle feste e alla sera si fermavano sul ponte di Raqqa a guardare la città illuminata che amava andare a dormire tardi. Tutto è cambiato quando, nel 2014, lo Stato islamico ha preso il potere a Raqqa e l’ha trasformata nella capitale siriana del Califfato. Mentre in occidente ancora discutiamo su che espressione usare per definire il gruppo di al Baghdadi, a Raqqa lo Stato islamico è al Tanzeem, l’Organizzazione, e al suo potere si è piegata tutta la città, al punto che i cittadini, i siriani, si sono abituati a essere trattati come cittadini di serie b, anche se questa è da sempre la loro casa: lo status privilegiato è quello dello straniero che arriva da lontano per combattere con lo Stato islamico, i “foreign fighters” cui noi diamo malamente la caccia e che nella capitale del Califfato sono le star.
Dua, Aws e Asma, le tre ragazze raccontate dal Nyt, “sono state fortunate: hanno potuto scegliere se unirsi allo Stato islamico”, non sono state uccise prima. Hanno accettato di sposare dei combattenti, non erano poi così brutti, uno veniva dall’Arabia saudita ed era ricco, e sposarsi bene conta anche per le fidanzatine dello Stato islamico. Una voleva dei figli, ma suo marito no, le aveva detto di prendere la pillola e non dimenticarla mai, perché i veri combattenti non hanno famiglia, i capi dell’Organizzazione temono che se ti innamori, se coccoli tuo figlio, non sarai abbastanza spietato in battaglia, non vorrai partecipare alle missioni suicide. Un uomo deve voler morire per lo Stato islamico, altrimenti è meglio ucciderlo. Quando una delle ragazze ha saputo che il marito era morto facendosi esplodere contro il nemico, quando ha capito che lui aveva voluto farlo, non era stato costretto, era un volontario, “qualcosa si è rotto”, “mi aveva fatto pensare che fossimo innamorati”. Neanche il tempo di piangere che già l’Organizzazione presentava un altro marito: sei la vedova di un martire, goditi la tua posizione e risposati.
[**Video_box_2**]Le fidanzatine dello Stato islamico hanno provato a rendersi utili, sono diventate poliziotte della morale, giravano per Raqqa sui minivan con il nome della brigata, riconoscibili e spaventose, hanno dimenticato le braccia scoperte e sanno a memoria quante frustate vale ogni “reato”. Ma nonostante la vedovanza, nonostante l’ubbidienza, non sono le preferite: “le straniere” hanno più potere, più libertà di movimento, passano davanti nella fila per il pane, all’ospedale non pagano, hanno l’accesso a internet e account Twitter multipli. Sono arrivate da lontano, il sacrificio è più grande, il contributo più prezioso.
Le tre ragazze sono scappate, sono in Turchia, mostrano sul cellulare le foto di quando Raqqa era una città divertente, dicono che non torneranno mai più, anche se un giorno dovesse essere liberata, perché è stato versato troppo sangue, e di un amore così nemmeno il ricordo è sopportabile.