Je suis Paris?
Il jet russo deprime lo spirito di Parigi. Obama offre cautela a Hollande
New York. Lo spirito di “je suis Paris” è arrivato a Washington con il fiatone, il suo abbraccio è caldo e stretto quando si tratta di agitare simboli e valori, di proiettare tricolori sui palazzi e incrociare bandiere sullo sfondo di conferenze stampa, molto più incerto quando si parla di iniziative concrete per distruggere il nemico. La Casa Bianca aveva messo le mani avanti già il giorno prima dell’arrivo del presidente francese, François Hollande: “Non voglio sottovalutare il significato di ulteriori espressioni di solidarietà e sostegno”, aveva detto il portavoce del presidente americano, Josh Earnest, segnalando intensa empatia e cortese disimpegno verso il primo alleato degli Stati Uniti. Un segnale che contrasta, come ha sottolineato en passant Hollande nella sua dichiarazione di ieri, con l’impegno “senza limiti” offerto da Barack Obama nella notte della tragedia parigina. Il jet russo abbattuto dall’esercito turco al confine con la Siria ha complicato ulteriormente la missione di Hollande, che deve assemblare un asse fattivo e non soltanto emotivo contro lo Stato islamico, tenendo nella partita anche l’alleato inevitabile, Vladimir Putin, che ha tuonato contro la “pugnalata alla schiena” sferrata dai turchi, che sono contemporaneamente “complici dei terroristi” e membri della Nato. La nube che s’è addensata sulle trattative è ben più estesa del singolo episodio militare, e non a caso la Turchia s’è appellata alla Nato prima ancora di alzare il telefono per chiamare il Cremlino, mentre il Pentagono ha parlato, in modo significativo, soltanto di un “incidente fra il governo della Russia e quello della Turchia”. Una sciagurata scaramuccia fra avversari con obiettivi divergenti.
Nel frattempo anonimi funzionari dell’intelligence americana dicevano alla Reuters che l’aereo russo ha violato lo spazio aereo turco “soltanto per qualche secondo”, formula che promuove una posizione ambigua. Obama ha detto l’ovvio, cioè che la Turchia ha il diritto di difendersi, ma ha subito fatto capire che il primo obiettivo è raffreddare la temperatura, mediare fra lo spirito di Parigi e quello di Vienna, fra la pulsione ideale per difesa della civiltà e quella realista degli intrecci diplomatici. Obama ha confermato il cambio di marcia ma non di direzione strategica – gli Stati Uniti intensificheranno “bombardamenti aerei e la condivisione dell’intelligence” – e ha chiesto all’Unione europea di approvare regole per rafforzare il monitoraggio dei passeggeri aerei, ma niente di più. Per quanto riguarda Mosca, la porta è sempre aperta ma “a patto che ridirezioni i suoi sforzi militari contro lo Stato islamico” e non contro quella “opposizione moderata” che Putin combatte per puntellare il regime di Assad. Così il messaggio che domani Hollande porterà a Putin per conto di Obama contiene due condizioni: concentrare gli sforzi bellici sullo Stato islamico e impegnarsi per una transizione del potere in Siria.
[**Video_box_2**]Assad “deve andarsene il più presto possibile”, ha detto Hollande, e Obama ha aggiunto che la fine del suo regime dipende dalla “sua volontà di non correre alle prossime elezioni”, commento copiosamente sbeffeggiato in rete. C’è poi una terza condizione, non detta, che Hollande potrebbe mettere sul tavolo del Cremlino: chiarire che un’eventuale iniziativa congiunta in Siria non cancella né ammorbidisce la posizione occidentale sull’Ucraina, con le relative sanzioni. I due scenari sono separati. La “pugnalata alle spalle” della Turchia mette l’ennesimo ostacolo alla lotta a un “gruppo barbarico che va distrutto”, come ha detto Obama. “La mia preoccupazione è la distanza fra la dimensione diplomatica e quella tattica: con Vienna si è aperto uno spazio per trattare con la Russia, ma sul campo le operazioni sono incredibilmente complicate, come dimostra l’abbattimento dell’aereo russo. Il rischio è che queste complicazioni tattiche possano diventare ostacoli strategici insormontabili fra potenziali alleati”, spiega al Foglio Brian Katulis, analista del Center for American Progress. Nemmeno lo sforzo diplomatico, insomma, è sufficiente. Hollande continua la sua missione per dare un corpo allo spirito di Parigi, e nel frattempo l’occidente risponde agli attacchi con la Conferenza sul clima: “Che risposta!”, ha esclamato soddisfatto Obama.