Il dopo Parigi è finito
Hollande vola da Putin e scopre tutte le fragilità della Coalition anti Isis
Bruxelles. Il ruolo di “Commandant en Chef” globale nella guerra contro lo Stato islamico è durato poco più di una settimana: dopo cinque giorni di intensa attività diplomatica, tra un viaggio a Washington, una serie di incontri bilaterali a Parigi e una scappata a Mosca, il presidente francese François Hollande si è dovuto arrendere all’evidenza della realtà siriana. Gli attacchi del 13 novembre contro Parigi hanno provocato un’ondata di solidarietà retorica, ma nessuna potenza, grande o piccola, è disposta a cambiare la sua strategia sulla Siria. Gli Stati Uniti continuano a puntare sulla loro coalizione di 65 paesi dagli obiettivi contraddittori e dai mille distinguo e non sono pronti a fare patti con Vladimir Putin e il suo protetto Bashar el Assad. Gli europei sono una “coalition of unwilling”: si aggrappano al processo politico avviato a Vienna, con la Germania che si è impegnata a inviare qualche Tornado di ricognizione e l’Italia che preferisce concentrarsi sulla Libia. La Russia, pur occupando un posto centrale nel tavolo della coalizione anti Isis, non ha intenzione di mollare il clan Assad, né di smettere di concentrare molte delle sue attenzioni sui ribelli sostenuti dagli occidentali, che costituiscono una minaccia per il regime di Damasco. Così, Hollande è stato costretto a dire addio alla “grande coalizione unica” contro lo Stato islamico, che aveva promesso nel suo discorso davanti al Congresso a Versailles il 16 novembre. Meglio ripiegare su una più modesta “collaborazione” tecnica con la Russia. “Il nostro nemico è lo Stato islamico: ha territorio, un esercito e delle risorse. Dobbiamo creare questa grande coalizione per colpire questi terroristi”, ma anche “cercare una soluzione politica al conflitto in Siria”, ha detto giovedì Hollande dopo l’incontro con Putin al Cremlino.
“Dobbiamo unire i nostri sforzi contro un male comune”, ha risposto il presidente russo. In realtà, nemmeno la Francia ritiene opportuno allearsi formalmente con la Russia. Una coalizione imporrebbe di condividere informazioni di intelligence e formare un comando congiunto. E’ uno dei molti esempi che spiegano l’impossibilità di arrivare a una strategia militarmente efficace contro lo Stato islamico in Siria. La Francia, pur essendo parte della coalizione americana, vuole mantenere la sua autonomia d’azione. Gli Stati Uniti, pur di tenere a bordo la Turchia, hanno acconsentito alla richiesta di Ankara di rallentare le forniture di armi ai ribelli curdo-siriani, che Parigi vorrebbe usare come “boots on the ground” per un’eventuale offensiva su Raqqa, la capitale dello Stato islamico in Siria. Il premier britannico, David Cameron, cerca per la terza volta l’autorizzazione della Camera dei Comuni per bombardare. Ma gli altri partner europei, nonostante la Francia abbia invocato la clausola di difesa collettiva dell’Ue (l’articolo 42.7 del Trattato), hanno compiuto solo gesti simbolici. I Tornado inviati dalla Germania fotograferanno la zona più controllata al mondo. Berlino potrebbe dispiegare anche una fregata e aerei da rifornimento nel quadro della missione siriana. Ma la Germania non intende prendere rischi in Siria: il contributo più significativo sarà l’invio di 650 soldati in Mali per permettere alla Francia di alleggerire il suo contingente in Africa occidentale.
[**Video_box_2**]Indossando i panni di “Commandant en Chef” globale, con la convinzione che gli attacchi contro Parigi avrebbero rivoluzionato i calcoli del resto del mondo, Hollande ha sottovalutato la posta in gioco della guerra siriana. Per la Russia, la coalizione con l’Iran sciita sulla Siria è servita a rientrare in medio oriente approfittando del vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Ma l’asse sciita promosso da Mosca è in conflitto con l’alleanza tra le monarchie sunnite in diretta competizione con l’Iran, che finora la Francia ha sostenuto. Rispondendo positivamente alla richiesta di Hollande di una coalizione globale, Putin ha semmai sfruttato gli attacchi di Parigi per dividere il campo occidentale e rilanciare la sua offensiva in Ucraina. “Non c’è soluzione politica: se Assad se ne va alle condizioni dei russi, verrà installato un clone di Assad”, spiega al Foglio un diplomatico della regione: per porre fine al conflitto in Siria “sono necessari boots on the ground”. Ma, con i jihadisti europei che si sono concentrati sulla Francia, gli altri grandi paesi dell’Ue – Germania, Italia, Spagna e Portogallo – non si sentono abbastanza in pericolo da immaginare un vero coinvolgimento militare.
L'editoriale dell'elefantino