Taggare stanca, in guerra
Lo sfottono, Renzi, perché vuole taggare i combattenti islamici e togliergli l’amicizia su Facebook. Lo sfruculia anche Vincino, con la sua spensierata cattiveria. In effetti il premier italiano ha un punto debole, che è anche il suo forte: lo scoutismo. Sir Robert Baden-Powell, nato nell’Ottocento coloniale e morto triste poco dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale (1941), fu un tipo da sballo. Fondò una associazione di diverse decine di milioni di ragazzi (i boy-scout) e ragazze (le guide). Famose le loro jamboree o adunate. Famosi i loro calzoni corti. Celebre e a giusto titolo la loro etica solidale, naturalistica, il loro umanesimo spontaneo, virginale. Non si contano i motti cinici che taggano la loro stupidità, la loro inconsistenza, ma alla fine ingiustamente. Baden-Powell fu militare dell’esercito di Sua Maestà britannica, ebbe missioni assegnate in India, in Afghanistan (jihad contro i colonialisti inglesi) e in Sudafrica. Ebbe incarichi di rilievo nel Mediterraneo come influente dirigente dei servizi segreti. Ma il suo scoop di una vita furono gli “Aids to scouting”, un manuale diretto ai giovani per rendersi felici facendo la felicità degli altri, mica poco. Il contrario, a occhio e croce, dell’art de vivre dei jihadisti di oggi e di sempre: dare la morte agli altri per rendersi degni del paradiso di un io assolutamente trascendente.
Perché dico allora che l’essere stato scout, semel scout semper scout, è insieme punto forte e punto debole di Matteo? In fondo, nella visita lampo di Parigi e nella teoria di comunicazioni precedenti e successive, che hanno ispirato il cinicume burbero dei comici a criticarlo con destrezza, Renzi ha fatto come la Merkel, solido offspring di un pastore protestante: un aiutino nelle retrovie ai francesi di Hollande, l’uomo grigio già diventato nero perché fa un suo Patriot act e bombarda lo Stato islamico a Raqqa, ma niente coinvolgimenti in qualcosa che possa somigliare anche di lontano a una “guerra”. “Guerra? Ma che guerra! Pussa via la guerra e chi la dice e la fa”. E va bene. L’Europa è come una rapa, dalla quale non si può spremere sangue, e l’appello alla lotta, al sangue, è sconveniente e anche un po’ ridicolo quando si debba difendere il diritto di vivere come viviamo, noi della generazione Erasmus. A Baden-Powell stavano per comminare un Nobel, e proprio nel 1939: soprassedettero. Ma la pace dei cuori è il sentimento che l’accompagnò fino alla lapide funeraria scoutistica, che metaforizza il compimento della “pista”: “Sono tornato a casa”.
[**Video_box_2**]Il problema non è tanto politico, e che dovranno mai fare Gentiloni e Pinotti, ministri degli Esteri e della Difesa di un’Italia pacioccona? Su questo ha perfino ragioni dalla sua un D’Alema: piede di casa, low profile, ché tanto ci penserà qualcun altro a fare passeggiate con gli hezbollah e gli ayatollah, che salgono nella borsa occidentalista come antidoti ai cattivi sunniti tagliagole. Il problema è la cultura. La cultura è diventata come un piccolo mantra, nella bocca del premier. Ma è concetto da maneggiare con cura. Se cultura vuol dire guerra culturale, assunzione di responsabilità in relazione alla posta in gioco, e cioè analisi e decostruzione delle mitologie teologiche armate dell’islam combattente, va bene. Ma se vuol dire, come si può sospettare, l’idea che in mancanza di pane si può sempre gustare una brioche, e dare una risposta culturale generica ai kalash, allora è un po’ più complicato. La leggerezza dell’essere, sostenibile o no, è uno dei grandi paradigmi della nostra epoca culturalizzante, e la tentazione dell’Etat culturel è quella roba che risolve i problemi della società e della politica con le notti bianche e l’appello a frequentare musei, cinema e teatri nonostante tutto, e magari a spese dell’autorità pubblica. Renzi forse fa bene a stare schiscio, ma la politica schiscia non sostiene una retorica delle emozioni, dei valori, specie se culturali. L’islamista uccide, il ridicolo pure.
L'editoriale dell'elefantino