Bum bum Cameron
Londra. Andare a colpire i terroristi nella loro terra madre, distruggere “il mito del Califfato” adesso, perché lo Stato islamico è un “grande pericolo” per la sicurezza del paese, perché Londra non può subappaltare agli Stati Uniti e alla Francia la sua difesa, perché il controllo del territorio permette all’organizzazione di finanziarsi gli attentati in Europa e altrove e perché non si può stare ad aspettare una soluzione politica, per quanto necessaria e urgente. Questa volta David Cameron non vuole sbagliare, non vuole andare a farsi male in un Parlamento ostile regalando all’Is “una trovata pubblicitaria” come il no all’intervento militare del 2013, e i suoi argomenti a favore degli airstrike in Siria li ha espressi con forza: 36 pagine di documento distribuito in anticipo ai membri del Parlamento, 2 ore e 40 di intervento e dibattito, risposte pazienti alle domande di 103 deputati con lo stile ecumenico che il primo ministro sa avere quando sa di dover pescare voti dall’altra parte.
“Quella bomba a Parigi poteva essere a Londra; se gli riuscisse, sarebbe a Londra”, e se sia azione sia inazione comportano dei rischi, quelli legati all’inazione sono più grandi, tanto il Regno Unito è già un bersaglio di per sé, ha spiegato, citando gli esperti militari e diplomatici che lo consigliano di colpire. Dall’aria. Contando sul (fragile) dato di fatto che sul territorio ci sono 70 mila combattenti siriani non islamisti, “moderati”, pronti a fare il resto del lavoro insieme ai peshmerga. Molti però chiedono un intervento più deciso, soprattutto tra i tory. Un deputato di lungo corso come Julian Lewis, presidente della commissione Difesa, ha dichiarato che “gli attacchi aerei da soli non saranno efficaci, devono avvenire in coordinamento con delle forze di terra credibili”.
“L’idea che ci siano 70 mila forze di terra non islamiste, moderate, credibili, devo ammettere, è una sorpresa per me e credo per molti in questa Camera”, ha detto Lewis. Anche per John Baron senza una “vera conoscenza del territorio, rischiamo di ripetere gli errori fatti in Iraq, Afghanistan post 2006 e Libia” e così per molti altri, dall’ex capo dello staff della Difesa e deputato indipendente, Lord Stirrup, secondo cui se intervento ci deve essere, deve avvenire “sul terreno” per fare in modo che le armi di precisione vengano usate “con gli effetti migliori” fino a Peter Lilley, Tory, veterano, ex ministro, che ha chiarito che i “boots on the ground sono essenziali se i bombardamenti devono avere senso”. Insomma in tanti sono d’accordo che non si può lanciare il sasso da lontano, compresi molt giornali d’establishment. Il conservatore Telegraph, dove l’ufficiale dell’esercito Hamish de Bretton Gordon ieri esortava alla possibilità di mandare truppe “assieme ad americani, russi e altri”, e perfino il giornale della City, il Financial Times, che in una pagina titolata significativamente “Boots on the ground” segnalava l’insuccesso di tutte le strategie attuate finora contro il califfo.
[**Video_box_2**]Per Cameron, invece, il passato dimostra che la presenza di truppe occidentali sul terreno “può di per sé essere un fattore di radicalizzazione” ed è per questo che il governo sostiene gli attacchi aerei come supporto alle forze sul terreno, “ma non propone l’invio di truppe britanniche on the ground”. Il primo ministro esorta a non fissarsi con l’Iraq e a guardare la situazione attuale: intervenire renderà il Regno Unito più sicuro, non meno. Se nel partito conservatore ci sono un po’ di riottosi e l’Snp con i suoi 54 deputati è pronto a votare contro, il Labour sulla questione si sta spaccando in due dopo che il suo leader Jeremy Corbyn, preoccupato per le vittime civili di una possibile guerra “on the ground”, ha tentato di imporre ai deputati di votare in blocco contro gli attacchi aerei, mentre il governo ombra, insieme al vice Tom Watson, punterebbe a portarli tutti a favore, secondo uno sconsolato tweet di Laura Kuenssberg, editor politico della Bbc e donna, come tanti, profondamente disorientata dal principale partito di opposizione. Il ministro degli Esteri ombra Hilary Benn – il figlio del sinistrosissimo Tony – ha parlato di “argomenti stringenti” a favore di un’azione, mentre John McDonnell, fresco di esibizione del Libretto rosso di Mao, remava con vigore nell’altra direzione. L’ex arciscettico Crispin Blunt, presidente della commissione Esteri, la stessa che all’inizio di novembre si era espressa in un report contro gli attacchi aerei e Philip Hammond, ministro degli Esteri, hanno detto entrambi di essere ottimisti e che il sostegno, alla fine, ci sarà. Le riunioni del weekend lo diranno. Si vota la settimana prossima.
l'editoriale dell'elefantino
C'è speranza in America se anche i conservatori vanno contro Trump
tra debito e crescita