Allarme baby boom! Troppo stanchi e troppo spiati, i cinesi non fanno sesso
Roma. I leader della Repubblica popolare cinese hanno messo fine alla politica del figlio unico il mese scorso con grandi speranze: riequilibrare la bilancia demografica cinese che dopo quasi quarant’anni di famiglie ristrette e aborti forzati pendeva pericolosamente verso l’invecchiamento della popolazione. I demografi hanno avvertito che consentire alle coppie di avere due figli era “troppo poco, troppo tardi”, ma nuovi dati e alcuni reportage dei media internazionali dicono che il problema è ancora più a monte: non si dà un boom demografico se mancano i fondamentali. Detta in maniera più brutale, i cinesi non fanno abbastanza sesso. Meno di una volta al mese lo fanno i colletti bianchi che lavorano negli uffici, secondo una ricerca recente citata sul Financial Times da Patti Waldmeir. Il lavoro è troppo stressante, le paghe basse e i turni da 12-14 ore al giorno non lasciano il tempo né i denari per pensare a se stessi, figuriamoci per il romanticismo. Quasi la metà dei colletti bianchi cinesi è single, e il livello di soddisfazione sessuale è di 1,64 su una scala di 5, nemmeno la sufficienza. Se questa è la classe media da cui dovrebbe partire il nuovo baby boom, i leader comunisti forse stanno riponendo male le loro speranze. Stesso discorso per i giovani tra i venti e i trent’anni, su cui non si hanno numeri ma che in quantità sempre maggiori vivono nei minuscoli appartamenti delle megalopoli cinesi con la famiglia allargata, fratelli genitori e nonni, e questo, commenta Waldmeir, è più efficace del miglior contraccettivo. A migliorare i tassi di natalità non contribuisce nemmeno il sesso in provetta: le banche del seme sono in carenza cronica, perché tra malattie legate allo smog , al troppo lavoro o al fumo da sigaretta i maschi qualificati per le donazioni non sono mai abbastanza.
In Cina la liberazione sessuale è andata di pari passo con le liberalizzazioni economiche, è parte del grande patto non scritto che ha consentito al regime la stabilità dopo i massacri di piazza Tiananmen, e oggi, benché i comportamenti siano finalmente liberi e il 70 per cento dei ragazzi cinesi abbia rapporti sessuali prima del matrimonio, la morale pubblica rimane opprimente e le costrizioni delle famiglie, accentuate dal fatto che per decenni a ciascuna coppia è stato concesso un solo figlio su cui sfogare le proprie aspettative, sono da sempre asfissianti. Come ha scritto il giornalista Eric Fish in un suo libro recente sui millennial in Cina, in molte famiglie ai ragazzi che si devono preparare per il grande esame d’ingresso all’università non è quasi concessa vita sociale e le relazioni amorose sono proibite.
A questo si aggiunge quello che l’Economist ha definito un certo “ascetismo comunista”, e il fatto che il regime autoritario e paternalista cinese non può fare a meno di sbirciare sotto le lenzuola dei suoi cittadini. La politica del figlio unico è solo l’esempio più macroscopico di come il regime tenti di influenzare anche la vita privata, e il fatto che la natalità non sia stata liberalizzata ma il limite sia stato spostato a due figli è sintomo del fatto che il mostro illiberale non molla la presa. Per esempio le scuole, anche superiori, in nome della produttività vietano le relazioni romantiche tra gli studenti. Il sesso prematrimoniale è stato depenalizzato solo nel 1997, ma se un figlio nasce fuori dal matrimonio farà fatica a ottenere l’hukou, l’essenziale certificato di residenza che dà accesso al welfare.
[**Video_box_2**]Il rovescio della medaglia di questa situazione disordinata e contraria alla natalità è il tasso eccezionale di aborti, anche tra le ragazze minorenni. Sono 13 milioni all’anno secondo i dati ufficiali, 40 secondo alcuni studi indipendenti riportati dall’Economist, che calcolano anche le cliniche private e i farmaci abortivi. Significa 2,5 bambini abortiti per ogni nato.