La risposta al terrorismo islamico non è nello statalismo onnipotente
Quella che stiamo vivendo, in parte, è una storia che già conosciamo. Come avvenne dopo l’11 settembre, la violenza islamista sta favorendo un rilancio della politica. Non è un caso se sono in molti a sostenere che il Fiscal compact è ormai archiviato e che le vecchie preoccupazioni orientate al rigore devono lasciare spazio a logiche più “ambiziose”. Ma questo ritorno dello spirito burocratico è conseguente al disagio che domina, e non solo in queste settimane, il capitalismo europeo. Nell’emergenza di attacchi che arrivano nel cuore delle nostre città, il primo riflesso è di affidarci al potere e alla sua promessa di sicurezza. E’ facile profeta chi prevede che lo stato si dilaterà e annuncia un autunno per le libertà. Ogni emergenza permette al ceto politico di disporre di risorse e poteri che nei tempi ordinari gli sono negati. Il Leviatano torna di moda, mentre sembrano stanca retorica le parole di Voltaire sulla Borsa di Londra, dove l’ebreo, il cristiano, l’ateo e il musulmano cooperano pur senza condividere il loro giudizio sull’esistenza. L’occidente ha inventato il capitalismo, ma non lo ama e le conseguenze sono pesanti. Per questo forse è utile richiamare alcuni concetti.
In primo luogo, bisognerebbe imparare dagli israeliani l’arte di vivere normalmente nonostante le minacce e la violenza. Quando François Hollande annuncia che modificherà addirittura la Costituzione egli sta dicendo ai terroristi che in qualche modo hanno già vinto. Non si cambiano le norme fondamentali solo perché vi sono gruppi fanatici e aggressivi: una società libera non si fa dettare l’agenda dai terroristi.
In secondo luogo, bisognerebbe comprendere che l’islamismo non può conquistarci (non ne ha i mezzi), ma soprattutto che la nostra superiorità economica discende direttamente dalla nostra libertà. Abbiamo un passato di pluralismo e protezione dei diritti individuali che hanno permesso all’Europa uno sviluppo sconosciuto altrove. Il guaio è che siamo per lo più inconsapevoli delle ragioni del nostro successo e quindi non siamo in grado di reagire alla violenza nel modo giusto.
C’è infine una terza questione ed è la più importante. Le libertà della nostra tradizione sono un valore in sé: anche al di là della ricchezza che ci hanno permesso di costruire. Dirigersi verso una crescente statizzazione della vita pubblica e dell’economia significa abdicare ai nostri valori. Come è ben noto agli studiosi dell’islamismo, al fondo di quei movimenti c’è molto occidente: e per la precisione c’è il peggio dell’occidente. Il termine stesso “terrorismo” proviene dalla fase più oscura della Rivoluzione francese. I criminali barbuti che sparano sulla folla gridando “Allahu akbar” si credono unicamente interpreti della tradizione islamica e invece sono tra gli allievi più ottusi della violenza politica che l’Europa ha fatto uscire dal proprio grembo.
[**Video_box_2**]Dobbiamo difenderci e quindi dotarci di sistemi di protezione più efficienti, anche superando i fallimenti di apparati pubblici tanto costosi e inadeguati. Ma per far questo bisogna soprattutto capirsi: sapere chi si è. Conoscere ciò che ci ha reso una civiltà e ciò che ora sta facendoci velocemente declinare. Il meglio di quanto siamo proviene dalle nostre libertà e dal persistere del capitalismo. Se gli statalisti di ogni colore dovessero non trovare più alcuna opposizione in ragione della guerra all’Isis e se – ancora una volta – i venti di guerra dovessero preludere a una crescente statizzazione delle nostre vite, i nemici della libertà avrebbero già vinto. E l’Europa procederebbe ancor più velocemente verso il tramonto.