L'effetto Snowden batte Je suis Paris uno a zero, ed è sempre all'attacco
Roma. Era il programma più potente e controverso della Nsa, l’agenzia per la sicurezza nazionale americana. Quello da cui è iniziato lo scandalo, quello con cui il giornalista e attivista Glenn Greenwald, il 6 giugno del 2013 sul Guardian, iniziava lo spoglio dei documenti trafugati dall’ex agente Edward Snowden dalla base Nsa delle Hawaii, dando origine a un dibattito all’incrocio tra privacy, sorveglianza e sicurezza che non si è ancora risolto. “Bulk phone surveillance” era definito il programma, nome oscuro che indicava la raccolta di massa di metadati delle conversazioni telefoniche, cioè di informazioni relative alle chiamate e non il loro contenuto. Oggi, mentre ancora cerchiamo di riprenderci dagli attentati di Parigi e abbiamo la tendenza a dire: intercettateci tutti, basta che rimaniamo al sicuro (è una tendenza che arriva da più lontano di Parigi, ed è dimostrata da molti sondaggi in America ed Europa), la raccolta dei metadati sembra quasi un passo scontato. Ma due anni e mezzo fa, quando lo scandalo scoppiò, l’immagine dell’Nsa americana che risucchiava vorace informazioni dalle nostre vite fu sufficiente per far pensare a tutti che era ora di finirla. E ancora a giugno di quest’anno, quando il presidente Obama ha firmato il Freedom Act, riformando alcune parti del Patriot Act di George W. Bush, sembrava la cosa giusta da fare: impediamo agli spioni del governo di entrare nelle nostre case, la privacy vale più di quel poco di sicurezza che ci possono garantire, sempre che ci riescano.
Domenica si sono esauriti i termini previsti dal Freedom Act, e la raccolta di massa di metadati della Nsa è finita ufficialmente. L’agenzia non può più accumulare, conservare e analizzare i metadati delle telefonate. Da ieri, se le agenzie di sicurezza vogliono monitorare le comunicazioni di individui sospetti devono ottenere un mandato da un giudice e richiedere i dati alle compagnie di telecomunicazioni, procedura che garantisce più tutele e che secondo la commissione incaricata da Obama di riformare il Patriot Act è un compromesso accettabile. Secondo alcuni esperti di sicurezza, però, ottenere un mandato richiede troppo tempo, e questo non basta di fronte a una minaccia che è liquida, ha capito come eludere la sorveglianza e sa muoversi inosservata sfruttando la mancanza di coordinamento tra i servizi d’intelligence. Secondo informazioni dell’intelligence belga, Salah Abdeslam, uno dei terroristi di Parigi, sarebbe arrivato in Siria dopo aver attraversato tutta Europa ed essere sfuggito alla polizia dell’intero continente.
[**Video_box_2**]Intercept, il sito fondato da Greenwald capitalizzando il successo dei suoi reportage sulla Nsa, celebra la chiusura del programma come una vittoria dello “Snowden Effect”, e a ragione. Mentre il mondo discute di leggi speciali per far fronte alla nuova guerra al terrore, e anche in Italia si cerca di aumentare il controllo sulle comunicazioni digitali, il partito anti sorveglianza ha ottenuto una vittoria schiacciante con la benedizione di Obama, che nonostante gli avvertimenti dei massimi esperti di intelligence e l’aumento dell’allerta terrorismo a livello mondiale ha lasciato che il Freedom Act facesse il suo corso. Un gruppo di senatori repubblicani, capitanati dal candidato presidenziale Marco Rubio e dal senatore dell’Arkansas Tom Cotton, ha cercato di mantenere operativo il programma della Nsa fino al 2017, perché dopo Parigi la minaccia è troppo alta per poterci permettere compromessi. Ma il tema spacca i partiti, anche quello repubblicano, e un superconservatore come Ted Cruz considera la sorveglianza delle agenzie di sicurezza come un’intrusione indebita del governo. Lo sforzo di Rubio è finito nel vuoto, e nel confronto tra sorveglianza e privacy Snowden segna un altro punto.