Come ti butto fuori la Grecia da Schengen
Bruxelles. Di fronte alla più grave ondata di rifugiati dalla Seconda guerra mondiale, i ministri dell'Interno dell'Unione europea domani inizieranno a discutere della possibilità di avviare la sospensione di Schengen, gli accordi che regolano la libera circolazione nell'Europa senza frontiere interne. Nel mirino c'è la Grecia, che potrebbe vedersi imporre la reintroduzione dei controlli alle frontiere, se nelle prossime due settimane non chiederà un intervento dell'Ue per rafforzare il controllo alla sua frontiera esterna. “L'ipotesi viene evocata” dai paesi maggiormente colpiti dal comportamento del governo di Atene che “lascia entrare e passare tutti e non trattiene nessuno”, spiega al Foglio un diplomatico europeo: Germania, Austria, Slovenia, Croazia, Lussemburgo, Belgio e Olanda stanno usando “in modo sempre più esplicito la minaccia dell'arma estrema della sospensione dall'area Schengen”. Sulla Grecia “la decisione dovrebbe coinvolgere politicamente il Consiglio europeo” del 17 e 18 dicembre, dice il diplomatico. Atene ha “due settimane per dimostrare risultati tangibili”, confermano dentro la Commissione. Ma il fatto stesso che i ministri dell'Interno discutano di questa possibilità conferma che la diagnosi del presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker: “Schengen è in stato comatoso”.
Pur non menzionandola esplicitamente, l'ipotesi della sospensione della Grecia è contenuta in un documento presentato dal Lussemburgo, che ha la presidenza di turno del Consiglio dell'Ue, ai ministri dell'Interno dei Ventotto. L'articolo 26 del Codice di Frontiera Schengen prevede espressamente la possibilità di imporre la reintroduzione dei controlli alle frontiere a uno o più paesi in caso di “carenze gravi e persistenti nel controllo di frontiera alle frontiere esterne”. Lo stesso articolo può essere usato per consentire a Germania e Austria di prolungare, da sei mesi a due anni, i controlli temporanei ai confini che hanno introdotto a settembre e ottobre. La Francia dovrà decidere a inizio gennaio se chiedere una deroga eccezionale e continuare a tenere chiuse le sue frontiere per la minaccia terroristica. Che sia la Grecia o i paesi del Nord, il risultato sarebbe lo smantellamento del principio dell'Europa senza frontiere.
Il governo di Alexis Tsipras ha ampie responsabilità, dopo che circa 700 mila migranti sono sbarcati sulle sue isole per dirigersi verso il Nord Europa con la complicità delle autorità greche. “I migranti vengono trasferiti dalle isole ad Atene e poi Salonicco, dove sono incoraggiati ad attraversare la frontiera con la Macedonia”, spiega il diplomatico europeo. Fino alla minaccia di sospensione da Schengen, Atene si è rifiutata di ottemperare alle richieste europee di aprire quattro su cinque centri di registrazione dei migranti (i cosiddetti “hotspost” con la presenza di funzionari di Frontex e dell'Ufficio europeo di assistenza all'asilo), l'invio di “Squadre di Intervento Rapido alla Frontiera” per pattugliare il mar Egeo e l'attivazione del “meccanismo Ue di protezione civile”. Dentro la Commissione attribuiscono i ritardi all'incompetenza della pubblica amministrazione greca o alle posizioni nazionaliste del governo Tsipras. Ma alcuni governi sono irritati per il fatto che il premier di Atene abbia cercato di usare la crisi dei rifugiati come moneta di scambio nelle trattative sul salvataggio finanziario.
[**Video_box_2**]Nelle ultime ore il governo Tsipras si è mosso per andare incontro alle richieste europee ed evitare la cacciata da Schengen, dopo aver sfiorato quella dall'euro. Ma, aldilà della Grecia, l'ipotesi della sospensione di Schengen rivela l'inefficacia delle misure immaginate dalla Commissione per fronteggiare la crisi dei migranti. Il programma di riallocazione di 160 mila richiedenti asilo, così come gli “hotspots”, funzionerebbe se tutti i paesi fossero come la Germania o la Svezia. Ma i centri di registrazione costringerebbero Italia e Grecia a tenersi tutti i migranti oltre alla quota da ridistribuire nel resto dell'Ue. Quanto alla riallocazione, solo 159 richiedenti asilo siriani, eritrei e iracheni hanno lasciato Italia e Grecia verso altri paesi rispetto a 3.616 posti effettivamente disponibili sui 160 mila del programma. “Le categorie coperte, in particolare i siriani, in Italia non sono più arrivati”, spiega una fonte diplomatica: “Ci stiamo concentrando sugli eritrei, ma purtroppo non sono quelli più richiesti dagli altri stati membri. E molte persone rifiutano ancora di farsi identificare perché non vogliono rimanere in Italia o andare in altri paesi che non siano la Germania”.