Il Califfato a San Bernardino
New York. Le autorità federali americane dicono che Tashfeen Malik, la parte più oscura ed enigmatica della coppia di attentatori di San Bernardino, aveva giurato fedeltà allo Stato islamico su Facebook poco prima della strage. Ci sono stati contatti telefonici con altre persone sotto inchiesta per terrorismo, e l’Fbi si muove ufficialmente in quella direzione. Tutti gli indizi del massacro californiano si stavano rapidamente allineando sulla traiettoria dell’estremismo islamico, nonostante le dichiarazioni corrette sull’incapacità di comprendere il movente, ma le connessioni dirette con il brodo ideologico del jihad dissolvono gli ultimi scrupoli. L’usanza di prestare “bay’ah”, il giuramento coranico, attraverso i social network prima di un attacco è diffusa, specialmente per i jihadisti occidentali ispirati ma non direttamente coordinati da un apparato terroristico centrale. In maggio, Elton Simpson aveva giurato fedeltà al califfo Abu Bakr al Baghdadi con un messaggio su Twitter prima di tentare l’assalto a un centro congressi di Garland, in Texas, dove si stava svolgendo una gara di vignette su Maometto. Una fonte della polizia ha detto al New York Times e ad altri media che “a questo punto crediamo che siano più autoradicalizzati e ispirati dal gruppo che effettivamente guidati”, ma altri dettagli emersi sulla coppia di San Bernardino mettono in imbarazzo l’idea della “autoradicalizzazione”. Un parente di Malik ha detto che la ragazza pachistana si è trasferita con la famiglia in Arabia Saudita quando lei aveva due anni. Lì il padre è diventato “un conservatore duro”, tanto che i parenti che dal Pakistan andavano in visita tornavano impressionati dal suo estremo fervore religioso.
Tashfeen è cresciuta in quell’ambiente, ed è tornata in Pakistan qualche anno fa. Ha incontrato online il marito, Syed Farook, nato e cresciuto in America ma versato nello studio e nell’interpretazione radicale del Corano. L’idea del jihadista “autoradicalizzato” contiene in filigrana quella della persona un po’ toccata e antisociale che passa troppe notti sui siti sbagliati finché non emerge dal fondo della coscienza una fascinazione per la violenza divina, mentre tende a obliterare il ruolo dell’educazione e del contesto. Nella strage californiana l’educazione e il contesto si stanno chiarendo. Certo, un attacco ispirato ed eseguito da fanatici semi indipendenti è molto diverso da un’azione militare ordinata e finanziata dai luogotenenti dello Stato islamico, ma questa è la natura “liquida” del jihad americano. E in un certo senso l’attacco ispirato e liquido è “il più terrificante”, come ha scritto l’analista Aaron David Miller: “E’ più difficile da sventare, e gli aspiranti jihadisti che sono già qui sono più numerosi di quelli delle squadre che cercano di fermarli”.
[**Video_box_2**]Se alcune caratteristiche dell’attacco sono comuni ad altre stragi di matrice islamica, altre risultano più difficili da decifrare. L’obiettivo, un gruppo di colleghi radunati per un momento di festa, non ha la forza simbolica di una base militare, del pubblico che si assiepa al traguardo di una maratona oppure al concorso per disegnatori di Maometto. Forse i due volevano che assomigliasse alla solita strage americana. Di certo è difficile tracciare il volto del jihadista americano tipo. Un recente studio sullo sviluppo e la diffusione del messaggio del Califfato in America condotto dalla George Washington University mette in luce la grande varietà sociologica degli americani che si accostano agli ambienti estremisti. Il tratto ricorrente del profilo del jihadista americano è l’assenza di tratti ricorrenti. Lo studio, intitolato “Isis in America: from Retweets to Raqqa”, nota che nel 2015 sono state arrestate 56 persone negli Stati Uniti che avevano legami con lo Stato islamico, il numero più alto di sospetti legati al terrorismo dal 2001. Lorenzo Vidino, uno degli autori del paper, spiega al Foglio che “il background degli americani affascinati dal jihad è sempre stato eterogeneo”, ma lo Stato islamico ha più capacità di penetrazione presso questa popolazione fatta largamente di giovani uomini – anche se le donne sono in aumento – con una rilevante percentuale di convertiti: “Il prodotto ideologico che propongono è forte e il packaging è affascinante”, dice Vidino, che nel report però smorza l’idea, invero pigra, che questa impennata nell’azione di reclutamento dipenda soltanto dai social. Twitter è una “cassa di risonanza”, non il diapason che dà la nota. Una costante, invece, è il mito “ancora perfettamente intatto”, spiega il professore, “di Anwar al Awlaki” l’imam americano-yemenita ucciso da un drone nel 2011 che ha radicalizzato una generazione di terroristi, da vivo e da morto. A casa dei terroristi di San Bernardino hanno trovato diverse copie di “Inspire” il magazine qaidista in inglese che al Awlaki dirigeva assieme a Samir Khan, jihadista cresciuto nel Queens. Da qualche mese, spiega Vidino, nel flusso eterogeneo delle comunicazioni dirette ai combattenti americani c’è un’indicazione ricorrente: “Concentrarsi sugli attacchi in occidente, invece che tentare la difficile attraversata per combattere al fronte”.