Un ministro australiano rottama i diktat urbanistici del catastrofismo climatico
Milano. Uno dei temi che tiene banco alla conferenza sul clima dell’Onu a Parigi, dove i capi di stato di tutto il mondo sono riuniti per l’ultima “ultima chance per salvare il pianeta”, è l’innalzamento del livello del mare a causa del global warming. Nei giorni precedenti il vertice sono state diffuse diverse previsioni catastrofiche: se non si tiene a bada il termostato globale e si dovessero superare i due gradi di riscaldamento entro la fine del secolo, allora megalopoli come Shanghai, Mumbai e Hong Kong finiranno sott’acqua, saranno sommersi territori dove vivono quasi 300 milioni di persone e il dato si duplicherà se raddoppierà il riscaldamento. Il Wwf per sensibilizzare l’opinione pubblica ha lanciato una campagna apocalittica che mostra Roma desertica con gli elefanti davanti al Colosseo (manca solo il Califfo e la bandiera nera dell’Isis), Pisa allagata e Venezia più sott’acqua del solito. Sul tema il presidente statunitense Barack Obama, che si è definito un “ragazzo delle isole” per i suoi natali alle Hawaii, ha invitato a trovare un accordo vincolante per frenare le emissioni perché il riscaldamento mette a rischio l’esistenza delle tante piccole isole del Pacifico provocando l’emigrazione di milioni e milioni di rifugiati.
Ma nel Pacifico c’è un altro “ragazzo delle isole” che rispetto al problema dell’erosione delle coste ha scelto un altro approccio, forse meno prudente o solo più pragmatico. Il suo nome è Robert “Rob” Stokes – ministro per la Pianificazione del Nuovo Galles del Sud, lo stato sud-orientale dell’Australia che ha come capitale Sidney – che ha emanato nuovi indirizzi sulla gestione degli oltre duemila chilometri costieri dello stato. Secondo la nuova strategia, la costa del Pacifico non sarà più trattata come un elemento geografico statico, ma come un fenomeno in continua evoluzione. La riforma punta a demolire o aggiornare la fitta maglia di norme e regolamenti tessuta nei decenni precedenti prevalentemente dai laburisti che gestiva la costa sulla base delle previsioni sul cambiamento climatico e sull’innalzamento del mare dell’onusiano Ipcc (il panel intergovernativo delle Nazioni Unite sul climate change). Con quella legislazione i consigli locali includevano sui certificati delle proprietà costiere avvertimenti sui pericoli di innalzamento del mare che però non si basavano su ciò che realmente accadeva sulla costa australiana, ma sulle previsioni dell’Ipcc. Come conseguenza molte persone si sono ritrovate con proprietà svalutate o completamente invendibili a causa di un approccio “molto prudente che ha sterilizzato lo sviluppo del territorio”, dice il ministro. La nuova strategia del liberale Stokes non è quella di ignorare i rischi, ma di guardare a cosa accade realmente alla costa australiana piuttosto che alle previsioni del Palazzo di vetro, considerando che l’avanzamento o l’erosione delle coste non dipende esclusivamente dall’innalzamento delle temperature ma anche da altri fattori come la composizione rocciosa o sabbiosa delle coste o i processi di sedimentazione a largo.
[**Video_box_2**]Il nuovo piano divide il litorale in 47 “compartimenti di sedimenti costieri” ai fini di una gestione basata sulla ricerca scientifica sulle coste, le spiagge e i fondali marini adiacenti: “Il nostro è un approccio molto più scientifico e basato sull’evidenza, che considera che ciò che accade alla costa è anche il prodotto di ciò che accade a largo – ha detto Stokes in un’intervista al giornale The Australian – il problema è che negli anni abbiamo sviluppato una gestione statica della costa, mentre abbiamo una costa che si modifica continuamente”.