Le bombe di Teheran
Roma. La coalizione militare a guida americana intensifica le operazioni contro lo Stato islamico in Iraq e soprattutto in Siria, con l’ingresso immediato del Regno Unito, a poche ore dal voto favorevole in Parlamento, nella campagna di bombardamenti, e l’invio da parte degli Stati Uniti di nuovi elementi delle truppe speciali. Ma al tempo stesso anche l’Iran, membro principale della coalizione sciita a guida russa che compie una campagna parallela in territorio siriano, sta considerando la possibilità di usare la propria aviazione in Siria, oltre a costutire la principale forza di terra a sostegno del rais Bashar el Assad. Alcuni jet iraniani F-14 Tomcat sono già entrati nello spazio aereo siriano alla fine di novembre, ma solo per scortare i bombardieri russi durante le loro missioni. Secondo report non confermati dai diretti interessati e riportati dal giornale del Kuwait Al Rai e da altri media mediorientali, Teheran si prepara a dislocare nella base siriana di Tiyas, a est di Homs, due squadroni di Sukhoi di fabbricazione russa per compiere missioni in coordinazione con l’aviazione di Mosca. Attraverso le milizie di Hezbollah, organizzazione terroristica e proxy libanese del regime degli ayatollah, e gli squadroni di Guardie rivoluzionarie presenti nel paese, l’Iran è il principale sostenitore “on the ground” del regime siriano, ma l’inizio di una campagna di bombardamenti aerei, per quanto limitata, costituirebbe un salto di qualità nella proiezione della sua potenza militare. L’alleanza tra l’Iran e la Russia si sta consolidando non solo in Siria, ma anche a livello strategico: Mosca avrebbe infatti consegnato a Teheran i missili terra-aria S-300, un sistema di difesa antiaerea temibile che per esempio rende le infrastrutture nucleari iraniane virtualmente invulnerabili a qualunque attacco da parte degli Stati Uniti o di Israele. Gerusalemme e Washington hanno protestato duramente alla notizia della vendita dei missili, che è stata confermata il mese scorso da fonti ufficiali russe dopo una trattativa durata anni.
L’Iran si sta rafforzando e legittimando a livello internazionale, ed è pronto a festeggiare l’“implementation day”, l’eliminazione delle sanzioni economiche a seguito degli accordi nucleari raggiunti con le potenze occidentali del 5+1 lo scorso luglio a Vienna. Mercoledì l’Aiea, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’energia nucleare, organo a cui spettano le verifiche sull’attività nucleare iraniana, ha pubblicato un report secondo cui Teheran ha cercato “in maniera coordinata” di ottenere la bomba atomica fino al 2003, e altre attività relative alla costruzione della Bomba sono state portate avanti in maniera meno strutturata fino al 2009, molto più avanti di quanto ammesso dagli iraniani e ritenuto dalla stessa Aiea. Inoltre, l’agenzia scrive che nel corso della sua indagine, durata quattro mesi e necessaria all’implementazione del deal, l’Iran non ha collaborato appieno e spesso ha cercato in maniera palese di ostacolare il lavoro degli ispettori. Uno dei punti più controversi è il sito nucleare di Parchin, dove, scrive l’Aiea, l’Iran ha mentito sulla destinazione d’uso di una grande camera blindata costruita per testare gli esplosivi (secondo gli iraniani serviva per testare componenti chimici). Le infrastrutture a Parchin sono state smobilitate febbrilmente negli ultimi mesi, e gli ispettori dell’Aiea hanno avuto un accesso molto limitato al sito. Parte del materiale necessario per le ispezioni è stato prelevato e consegnato all’Aiea direttamente dagli iraniani, in una situazione in cui all’inquisito è stato consentito di auto inquisirsi.
[**Video_box_2**]Sul nucleare l’Iran ha mentito, ma i risultati ottenuti sono sufficienti secondo l’Aiea per dire che “non ci sono prove credibili di attività in Iran riguardanti lo sviluppo di un ordigno nucleare dopo il 2009”. Questo basta tanto all’agenzia Onu, il cui board questo mese probabilmente voterà a favore della chiusura dell’indagine sul nucleare iraniano, quanto all’Amministrazione Obama, che a seguito del voto del board si prepara a sollevare le sanzioni all’Iran già a gennaio, scrive il Wall Street Journal. “Non ci aspettavamo una confessione piena dall’Iran, né ne avevamo bisogno”, ha detto al Wsj un funzionario anonimo dell’Amministrazione, come a ribadire che il deal nucleare si basa sulla fiducia nei confronti del regime degli ayatollah più che sulla solidità delle prove.