Il caso del ministro Wallström
Così la Svezia è diventata una socialdemocrazia che predica contro Israele
Roma. Per il Global Peace Index, la Svezia è un modello mondiale di uguaglianza e pari opportunità. Stoccolma eccelle soltanto in un particolare tipo di odio, quello nei confronti di Israele. Intervistata dalla Svt2 dopo le stragi parigine del 13 novembre, la ministra degli Esteri, Margot Wallström, aveva detto che “per contrastare la radicalizzazione dobbiamo tornare alla situazione in medio oriente, dove i palestinesi vedono che non c’è futuro per loro e devono accettare una situazione disperata o ricorrere alla violenza”. Frasi liquidate dal premier israeliano, Benjamin Netanyahu, come “sconvolgenti per la loro sfrontatezza”. Socialdemocratica, femminista e umanitarista, eurocommissaria dal 1999 al 2009, ieri Wallström è tornata a demonizzare Israele, accusandolo di “esecuzioni extragiudiziarie” nella Terza Intifada.
“Tutti in Svezia sono contro di noi, c’è una sfacciata tendenza anti israeliana”, ha detto un alto funzionario israeliano al quotidiano Yedioth Ahronoth. Un anno fa, la Svezia è stata ufficialmente il primo paese dell’Unione europea a riconoscere lo “Stato di Palestina”. Intanto, l’antisemitismo fermenta in una parte della società svedese. L’ambasciatore israeliano a Stoccolma, Isaac Bachman, si è sentito chiedere in radio: “Gli ebrei sono responsabili per la crescita dell’antisemitismo?”. Omar Mustafa, leader degli islamici svedesi, ha invitato a “bombardare” Israele (per questo si è dovuto dimettere dai Socialdemocratici). Il governo ha finanziato con 104 mila euro un manuale dal titolo “Colonialismo e Apartheid”, in cui si accusa Israele di pulizia etnica. Il fondo pensione svedese ha disinvestito dalla compagnia israeliana Elbit, minacciando di far fare la stessa fine a Motorola. Nelle scorse settimane, in Svezia, la “Notte dei Cristalli” del 1938 è stata commemorata senza invitare le vittime di allora: gli ebrei.
La principale catena di supermercati svedese, Coop, ha eliminato i prodotti israeliani dagli scaffali dei suoi seicento punti vendita (boicottaggio poi ritirato a causa delle proteste). La compagnia aerea Scandinavian Airlines ha sospeso i voli verso Tel Aviv, a causa della “instabilità politica”. Un film svedese, dal titolo “I morti non hanno ancora nome”, che stabilisce il paragone fra l’Olocausto e la situazione dei palestinesi, è stato incluso nel curriculum scolastico di Göteborg. Le pagine culturali dell’Aftonbladet, il più venduto quotidiano svedese, hanno pubblicato un articolo, senza fonti né prove, in cui si accusa l’esercito israeliano di rubare gli organi ai palestinesi. Dagens Nyheter, il più sofisticato quotidiano svedese, ha pubblicato un editoriale dal titolo “E’ permesso odiare gli ebrei”, in cui l’autore, lo storico delle religioni Jan Samuelson, spiega che l’odio islamico per lo stato ebraico è giustificato. Il Museo nazionale di Stoccolma ha esposto un’opera “d’arte” con la foto di Hanadi Jaradat, la kamikaze palestinese che ha ucciso 21 israeliani in un ristorante di Haifa.
Dopo le stragi di Parigi, la Svezia ha chiuso le sinagoghe, simbolo della grande serrata sulla comunità ebraica. Un documentario per la tv racconta che “molti tra i 600 ebrei rimasti a Malmö hanno paura di uscire dalle loro case e vogliono lasciare la città”. Settant’anni fa, la Svezia di Raoul Wallenberg era il paese europeo più attivo nel salvataggio degli ebrei. Oggi Stoccolma, in nome della sua virtù umanitarista, getta sugli ebrei uno sguardo carico di odio e malizia.
L'editoriale dell'elefantino