Quelli di San Bernardino sono soldati, non “sostenitori” di Is
New York. Quando sabato lo Stato islamico ha rivendicato la strage di San Bernardino, in California, gli osservatori hanno notato una discrepanza fra il messaggio in inglese e quello in arabo, entrambi diramati da Bayan, la stazione radio del Califfato. In inglese i due attentatori, Syed Rizwan Farook e Tashfeen Malik, vengono identificati come “soldati del Califfato”, mentre nella versione araba sono soltanto “sostenitori”, quasi ad indicare un più tenue grado di affiliazione all’organizzazione centrale rispetto a quello che si attribuisce loro nella lingua del nemico. “Soldati” oppure soltanto “fratelli” sono termini usati per indicare gli uomini che agiscono in contatto diretto con luogotenenti dello Stato islamico, come gli esecutori della strage di Parigi.
Anche Ahmed Coulibaly, che in Francia era entrato nel network di reclutamento terroristico, in un video girato prima di fare una strage in un supermercato kosher parigino si proclamava un “soldato del Califfato”. I termini suggeriscono una differenza qualitativa fra attentatori alle dipendenze dello Stato islamico, gente che ha contatti diretti con l’organizzazione centrale ed esegue indicazioni specifiche, e terroristi ispirati e sobillati dalle gesta del Califfato che decidono di replicare ovunque si trovino.
[**Video_box_2**]Quella dei terroristi “ispirati” o “autoradicalizzati”, come recita il goffo linguaggio dell’antiterrorismo americano, è un’epopea particolarmente viva fra i terroristi “homegrown” in America, dove è più difficile colpire partendo da Raqqa o da Mosul. Appena è stato chiaro che la matrice dell’attentato di San Bernardino era terroristica, una domanda ha preso a rimbalzare: sono legati direttamente allo Stato islamico, come quelli di Parigi, oppure sono i soliti personaggi umbratili e disturbati che si radicalizzano davanti a un computer? La strage dimostra che, almeno nel contesto dei movimenti jihadisti americani, questa domanda sta perdendo di significato. Si sta affermando un nuovo paradigma in cui il soldato direttamente collegato all’organizzazione e il remoto “sostenitore” dello Stato islamico si sovrappongono, il membro organico dell’apparato e il lupo solitario (che davvero solitario non è mai) finiscono per essere affratellati dalla stessa missione, dallo stesso giuramento al leader al Baghdadi, poco importa se l’alleanza è sancita tramite un account Facebook da una cittadina della California oppure nelle strade di Raqqa. E’ il giuramento, la bay’ah, che definisce l’affiliazione dell’attentatore, non i gradi di separazione dalla catena di comando del Califfato.
I terroristi di Garland, in Texas, avevano giurato fedeltà su Twitter prima di tentare l’assalto a un centro congressi dove si stava svolgendo una gara per disegnatori di vignette di Maometto. Forse anche per questo i media dello Stato islamico, che alle parole sono molto attenti, con leggerezza parlano ora di soldati, ora di sostenitori. La giornalista del New York Times Rukmini Callimachi, un’autorità nell’ambito del terrorismo, suggerisce la necessità di “un nuovo paradigma in cui le ‘azioni solitarie’ in nome dello Stato islamico non sono più viste come azioni terroristiche minori”.
Che non si tratti di azioni laterali operate da schegge radicalizzate in forma indipendente lo dimostra anche il fatto che gli autori si attengono sempre più scrupolosamente alle indicazioni diramate dalla propaganda del Califfato a livello centrale: prestare giuramento appena prima di entrare in azione, eliminare le tracce della propria presenza online, colpire infedeli ovunque, anche senza la necessità di un obiettivo ad alto valore simbolico. Com’è successo a San Bernardino, dove 14 impiegati pubblici sono stati uccisi da soldati del Califfato.