Baghdadisti a Kabul
Kabul. “L’obiettivo dello Stato islamico in Afghanistan è eliminare la linea di Durand che separa l’Afghanistan dal Pakistan” e che da oltre mezzo secolo ne avvelena i rapporti, per ristabilire la provincia storica del Khorasan sotto il Califfato di Baghdadi, e anche cancellare le frontiere con l’Iran, il Tajikistan e altri paesi dell’area: “Partiremo da Kabul verso l’Asia Centrale – spiega in un’intervista Bakhtyar, l’emiro assegnato alla provincia del Nangharah, confinante con il Pakistan – Ma per ora ci stiamo focalizzando principalmente nell’eliminazione dei talebani dal paese”. Questi commenti sono stati raccolti dal Foglio grazie a un collaboratore locale. La guerra in Afghanistan al momento è più tra Stato islamico e talebani che contro il governo di Kabul e non si tratta soltanto di scontri militari. Ieri a Kandahar, nel sud del paese, un gruppo di talebani ha attaccato l’aeroporto della città, ingaggiando una battaglia con armi da fuoco con le forze di sicurezza e prendendo di mira in particolare la base della Nato lì presente. Tra i due gruppi è altrettanto importante la lotta di informazione ideologica, con i combattenti dello Stato islamico che accusano i talebani di essere al servizio di Pakistan e Iran e i talebani che denunciano i crimini dei rivali contro la popolazione insieme alla loro illegittimità sul territorio afghano. “I talebani di un tempo avevano veri leader – continua l’emiro – oggi invece i loro combattenti sono solo al servizio dell’Isi (i servizi segreti pachistani) e hanno venduto la jihad per interessi personali”.
L’emiro, che si è formato a Peshawar in Pakistan dopo aver abbandonato il partito di Hizb-e-Islami, sostiene che un numero elevato di combattenti proviene dai talebani afghani, ma ci sono anche molti giovani appena usciti dalle Madrasse, le scuole islamiche. Spiega che 2.500 persone sarebbero state reclutate soltanto negli ultimi tre mesi e circa 1.380 combattenti si trovano al momento nella regione di Nangharah. L’apparente successo di reclutamento rafforza l’idea secondo cui i talebani avrebbero iniziato a perdere appeal, specialmente tra le nuove generazioni di jihadisti. La fine della leadership del Mullah Omar, figura diventata quasi mitologica prima dell’annuncio ufficiale della morte nel luglio scorso, le scissioni interne che ne sono seguite e le accuse al nuovo leader Mullah Mansoor di servire gli interessi pachistani hanno lasciato un vuoto organizzativo e facilitato questo processo.
In realtà, nonostante la sostanziale presenza in Afghanistan in diverse regioni, e la creazione di diversi campi di addestramento anche nella provincia di Laghar, a sessanta chilometri da Kabul, le conquiste e vittorie effettive dell’Is contro i talebani rimangono limitate a Nangharhar, dove è in atto una guerra civile tra le due forze insorgenti. Qui, in distretti come quello di Achen, lo stato islamico ha già imposto i suoi regolamenti e tassazioni locali, ha escluso le donne dalle scuole pubbliche, vietato l’uso di sigarette e l’ascolto della musica a tutti gli abitanti.
Ma non sono queste imposizioni a creare difficoltà nell’effettivo radicamento sul territorio locale da parte dell’Is. La società afghana, specialmente nelle province più remote, è rimasta profondamente tribale e il successo o meno dello Stato islamico e degli altri gruppi insorgenti dipende soprattutto dall’affiliazione dei leader tribali, molti dei quali ancora fedeli ai talebani. La presenza di combattenti pachistani, malvista dai più sia per motivi economici sia a causa degli abusi contro la popolazione, ha messo a dura prova l’autorità di Hafiz Saeed, ex combattente del Tehirik-i-Taliban (Ttp) in Pakistan, nominato leader dello Stato islamico nella provincia del Khorasan a gennaio.
Esperienza in Siria
Secondo la rivista militare Jane’s, questa componente pachistana dello Stato islamico del Khorasan ha iniziato a formarsi nel 2014, quando un centinaio di combattenti dei Ttp e del gruppo estremista anti-sciita pachistano Lashkar-e-Jhangvi (Leg) si è spostato in Siria per offrire supporto alle forze jihadiste ribelli, dopo aver ricevuto istruzioni su conflitto, training militare e lezioni di arabo nella madrepatria. Una volta ufficializzato il riconoscimento della provincia del Khorasan come parte dello Stato islamico, i combattenti pachistani sarebbero quindi tornati nella regione per condurre operazioni anche in Afghanistan sotto la guida dello stesso Saeed. La scelta di una leadership pachistana però, si è rivelata poco funzionale alle ambizioni dichiarate dal leader dello Stato islamico Abu Bakr al Baghadi. L’Afghanistan rimane il paese strategico per la creazione del Khorasan e la conquista dei paesi dell’Asia centrale. Per ora, invece, la maggior parte dei leader tribali simpatizzanti dell’Is ha riconosciuto solo l’autorità dell’afghano Muslimdost, che aspira a diventare emiro della regione anche grazie al loro supporto.
[**Video_box_2**]Al momento, sarebbero quindici le divisioni amministrative sotto l’influenza dell’Is, di cui solo sei si troverebbero nelle regioni tribali autonome del Pakistan. Ogni zona è divisa per province, governate dal Wali, termine storico con il quale si indicavano i governatori dell’Impero islamico, e organizzate da emiri ai quali sono assegnati diversi settori, da quello militare a quello giuridico. “L’unico requisito è quello di non essere Shia e Hazara (minorità etnica afghana che appartiene a questa confessione religiosa)”, afferma l’emiro del Nangharah nell’intervista.
Questa natura profondamente settaria del movimento, rafforzata da componenti pachistane anti-sciite, va ad aggiungere ulteriori complicazioni alle diverse divisioni islamiste, tribali ed etniche presenti in Afghanistan. Un mese fa 10.000 persone al grido “Basta talebani, basta Daesh (acronimo arabo per lo Stato islamico)” sono andate a manifestare sotto il palazzo presidenziale a Kabul contro l’uccisione di 7 hazara, tra cui due donne e una bambina, da parte di dissidenti talebani ora uniti allo Stato islamico nella regione di Zabul.