A un passo dalla Libia
Roma. Ieri il sito specializzato “Africa intelligence” ha pubblicato un articolo interessante sulle manovre del governo italiano per tornare rilevante nel dibattito internazionale su come stabilizzare la Libia. Il sito titola “L’Italia riprende il controllo della crisi libica” e sostiene che il generale italiano Paolo Serra è volato il sette dicembre nella città di Beida, nell’est della Libia, e il giorno dopo a Misurata, a ovest. Dal 17 novembre Serra è il senior advisor affiancato al capo negoziatore delle Nazioni Unite per la Libia, il tedesco Martin Kobler. Per non fare confusione: Serra lavora per le Nazioni Unite, ma il sito sottolinea che si coordina “su tutto quello che fa” con il capo di stato maggiore italiano, Claudio Graziano.
E’ da vedere se l’articolo è affidabile. Fonti del Foglio a Tripoli smentiscono che il generale italiano martedì sia atterrato a Misurata, e spiegano che il governo di salvezza nazionale di Tripoli ha negato il permesso per l’atterraggio perché il presidente del Congresso nazionale generale, Nouri Abusahmain, ha impartito istruzioni chiare: chi vuole parlare di sicurezza con i gruppi di Misurata deve passare per il Congresso nazionale generale. In questo momento le Nazioni Unite hanno interesse a parlare con i gruppi armati di Misurata perché sono i più forti del paese e potrebbero risolvere una questione difficile: chi garantirà la sicurezza nella capitale Tripoli se si formerà il governo di unità nazionale tanto desiderato dalla comunità internazionale? Mattia Toaldo, analista dello European Council on Foreign Relations, dice al Foglio che Misurata è la risposta più probabile e che però in queste settimane sta rompendo l’intesa con il governo di Tripoli.
La seconda presunta destinazione era Beida. Se fosse confermato, è plausibile che il generale italiano dovesse mediare su una questione centrale che blocca il negoziato: il futuro del capo dell’esercito libico fedele al governo di Tobruk, Khalifa Haftar. Haftar è un personaggio ingombrante che è detestato dai libici schierati con il governo di Tripoli e che non ha alcuna intenzione di farsi da parte per favorire un governo unitario; a dire il vero, non va molto d’accordo nemmeno con le altre forze fedeli al governo di Tobruk, ma oggi in qualche modo è il volto simbolo del fronte anti Tripoli. L’Egitto vuole avere rassicurazioni su come sarà risolto questo capitolo dei negoziati, perché ha appoggiato Haftar e ora punta a evitare una transizione lacerante. Senza il nome di un buon sostituto il Cairo non darà il suo via libera per chiudere le trattative che dovrebbero portare a un governo di unità nazionale sotto la guida del candidato primo ministro appoggiato dalle Nazioni Unite, Faez Serraj. Gli egiziani sono un interlocutore troppo importante quando si parla di Libia, nessuno intende sorvolare sulle loro richieste, tantomeno il governo italiano che si muove d’intesa con il presidente Abdul Fattah al Sisi: “L’Italia non strapperà mai con l’Egitto sul dossier libico”, dice Toaldo.
[**Video_box_2**]L’Italia guida il tentativo di far ripartire l’iniziativa diplomatica delle Nazioni Unite dopo lo scandalo di Bernardino Leon (che negoziava con in tasca un contratto di lavoro d’oro negli Emirati arabi uniti) e dopodomani ospita un atteso summit ministeriale sponsorizzato anche dagli Stati Uniti, che mandano il segretario di Stato, John Kerry. L’obiettivo è favorire un accordo per la nascita di un governo di unità nazionale, quindi prediligere una soluzione politica a una soluzione militare – che è la posizione del governo italiano. In questi giorni a Roma sono già arrivati quasi tutti i protagonisti dell’incontro internazionale di domenica, attorniati da una cornice affollata di altri interlocutori che hanno voce in capitolo, e l’atmosfera che si respira è assieme di attesa e di urgenza. Attesa perché pochi si aspettano annunci decisivi nel giro di pochi giorni. Urgenza perché ci sono pressioni in campo occidentale per chiudere questa fase infinita e trascinata a lungo dei negoziati e cominciare la fase concreta della lotta allo Stato islamico.
A proposito di ruolo italiano: il 27 e il 28 novembre la comunità di Sant’Egidio ha ospitato delegati delle etnie Tebu e Tuareg, che si fanno la guerra nel sud della Libia, e ha ottenuto una dichiarazione congiunta d’impegno a favore del processo di pace guidato dalle Nazioni Unite.