Crisi culturale e bisogno di autorità. Così i francesi hanno cominciato a votare Fn
Parla Nicolas Lebourg, storico e ricercatore presso il Centre d’études politiques de l’Europe latine, uno dei massimi esperti in Francia di Front national. “Non basta la crisi economica a spiegare la vittoria della destra”. Ecco perché.
Parigi. “L’esasperazione dell’opinione pubblica dinanzi alle politiche di austerità di Bruxelles fornisce sicuramente carburante all’estremismo di destra, ma le vere ragioni del successo del Front national vanno ricercate entro i confini francesi, nella sociologia francese: è un popolo che vota, sono delle elezioni nazionali, francesi. La crisi identitaria e culturale della Francia e la forte richiesta di autorità sono i motivi principali della vittoria del Fn”. Nicolas Lebourg, storico e ricercatore presso il Centre d’études politiques de l’Europe latine (Cepel, université de Montpellier), è uno dei massimi esperti in Francia di Front national. Membro dell’Obsérvatoire des radicalités politiques, ha pubblicato numerosi saggi consacrati al movimento lepenista e più in generale ai movimenti identitari.
L’ultimo, “Les Droites extrêmes en Europe” (Seuil), scritto a quattro mani con il politologo Jean-Yves Camus, passa in rassegna le destre radicali europee, evidenziandone i punti in comune così come le specificità nazionali. Esistono certamente responsabilità condivise da parte delle élite europee circa l’ascesa delle destre radicali, sottolinea Lebourg, ma emergono soprattutto spiegazioni interne. “C’è una responsabilità comune delle élite a livello europeo: la mancanza di differenze nette tra le offerte dei conservatori e dei socialdemocratici sulle politiche economiche e sociali ha senza dubbio aiutato le destre radicali. Tuttavia, se diamo uno sguardo alla Francia, la spiegazione è rintracciabile anzitutto nella maniera in cui la classe politica, e la destra neogollista di Sarkozy in primis, ha provato e prova a imitare le ricette del Fn, con la speranza di contenerlo, ma di fatto ottenendo l’effetto contrario”, dice al Foglio Lebourg.
“Mi spiego: quando nel 2007 Nicolas Sarkozy assorbe gran parte dell’elettorato del Fn, se si va a analizzare la struttura del voto, si vede che il tema di campagna che ha funzionato è il “Lavoro”. Le professioni liberali che avevano votato Fn nel passato, votarono in massa Sarkozy, permettendogli di vincere. Da qui al 2017, Sarkozy proverà a fare lo stesso basando la sua campagna sui temi oggi cari al Fn, l’islam e l’identità. Ma a differenza del 2007, ci sarà un’esplosione di voti per il Fn. La formula di Jean-Marie Le Pen è nota: i francesi preferiscono l’originale alla copia”.
Dalla sua nascita a oggi l’elettorato frontista è profondamente mutato. E molti di quelli che hanno votato Fn domenica scorsa, non lo avrebbero mai fatto trent’anni fa. “Negli anni Ottanta quello frontista è un elettorato borghese. Negli anni Novanta c’è l’esplosione delle classi popolari, il voto frontista si proletarizza. Dal 2012 si verifica un fenomeno di generalizzazione: il voto Fn tocca tutte le categorie sociali, diventa un voto nazionalizzato. Entrano nuove categorie come i francesi di confessione ebraica, che si sono avvicinati al Fn con l’ascesa di Marine. La grande differenza con i due partiti maggioritari, Ps e Républicains, resta tuttavia la scarsa presenza di elettori con un diploma di alto livello. Questi sono più legati alla globalizzazione, e di conseguenza meno al Fn che la globalizzazione la combatte”, spiega Lebourg.
Tra i motivi che spingono a votare Fn ci sono la richiesta di alternanza – sempre più francesi considerano Ps e Républicains interscambiabili – ma soprattutto la “demande d’aurotité”, l’incessante richiesta di autorità che sempre più sondaggi mettono in evidenza – secondo un sondaggio pubblicato a novembre dall’istituto Ifop, il 40 per cento dei francesi vorrebbe un governo autoritario. E i giovani, la cui maggioranza tra i 18 e i 34 anni ha dato il suo voto al partito lepenista? “Il fenomeno dei giovani che votano Fn comincia nel 1988. E’ in quell’anno che ha inizio la ‘frontizzazione’ della gioventù. E non è per caso. Si esce dalla prima coabitazione gauche-droite, con il socialista Mitterand alla presidenza della Repubblica e il gollista Chirac a Matignon. La gioventù di Francia è fermamente convinta, ora più che mai, che non c’è alcuna differenza tra Nicolas Sarkozy e François Hollande, sono per loro la stessa cosa. Pensano che sia arrivato il momento di provare qualcosa di nuovo, e dunque il Fn. In secondo luogo, i giovani, sballotati continuamente da un posto all’altro con contratti precari, hanno invece bisogno di un quadro unitario, sicuro, protettivo, e questo il Fn lo rivendica con il suo discorso sull’unità nazionale, sulla solidarietà tra concittadini, sulla priorità francese”, dice al Foglio Lebourg.
[**Video_box_2**]Sono pochi gli osservatori che parlano ancora di voto di protesta, e non di adesione al Fn, “è un discorso superato, desueto. Quello frontista è a tutti gli effetti un voto di adesione”, sottolinea Lebourg. E l’adesione dei molti francesi che hanno votato Fn domenica scorsa è fortemene legata al discorso identitario portato avanti dal partito lepenista, e in particolare da Marion Maréchal-Le Pen, la più giovane della dinastia. “I temi identitari sono nel cuore del voto dato dai francesi al Fn. La Francia è un paese che ha alle spalle secoli e secoli di storia. Dal Sedicesimo secolo, la cultura francese si è costruita sull’unità, sul tema unitario, su una forte centralizzazione, su un’amministrazione che controllova tutto e su un’uniformità delle regole. Da quarant’anni a questa parte, con l’entrata in quella che viene chiamata ‘postmodernità’, tutti i quadri unitari sono esplosi. In un paese come la Francia che ha vissuto per quattro secoli su valori unitari, trovarsi di fronte alla globalizzaione galoppante, a una società multiculturale, alla frammentazione del suo apparato nazionale e identitario è uno choc”, afferma Lebourg. Prima di avanzare un paragone con la Spagna. “Basta dare uno sguardo ai risultati ottenuti dalla destra radicale sopra e sotto i Pirenei per capire la situazione: in Spagna, alle europee del 2014, erano cinque le liste di destra radicale ad essersi presentate, e insieme non hanno fatto nemmeno l’1 per cento. Se fosse solo la crisi economica a nutrire il voto delle destre radicali, la Spagna sarebbe tutta a destra. E’ invece in Francia che la destra radicale ha successo. E perché? La Spagna non è culturalmente in crisi, è una cultura viva, a differenza della Francia, che versa in uno stato di malessere culturale perché sopporta male la globalizzazione”.