Dopo le regionali
Almeno non c'è stata la disfatta. Così si consola il Ps francese privo di idee
Milano. Non si cambia nulla, la “continuità” è il mantra del Partito socialista francese, sopravvissuto al secondo turno delle regionali, e pronto a tornare al suo business as usual, pure se si tratta di un business logoro e poco promettente. “Ora che il Ps ha salvato la mobilia”, ha spiegato David Revault d’Allonnes, giornalista politico del Monde, “non ci aspettiamo alcun cambio di linea”, anzi c’è qualcuno che dice che in fondo, date le aspettative, la tenuta del Ps è quasi un successo: cinque regioni conservate, un risultato complessivo meno brutto di quello registrato alle amministrative, e – dicono gli esperti di dati – meno brutto di quel che accadde alla destra nel 2004 e nel 2010, quando era quasi stata cancellata via dalla mappa elettorale del paese. E’ sempre tutto tatticamente relativo, per la sinistra francese. Il presidente, François Hollande, ha seguito la serata elettorale nell’ufficio all’Eliseo, con quattro collaboratori e il telefono sempre all’orecchio, “soddisfatto della partecipazione, un mese dopo gli attentati, e del fatto che i francesi hanno scelto la democrazia”, dicono le cronache. Il premier, Manuel Valls, ha subito tuittato per celebrare “il popolo libero” di Francia, che ha fermato l’avanzata del Front national votando i partiti tradizionali.
Fonti interne al Ps, pur sospirando unanimemente di sollievo, chiedono: quanto ci costerà il patto repubblicano per fermare Marine Le Pen? La lezione di questa tornata elettorale “si capirà tra un po’ di tempo”, scrive Libération, ma se i commentatori avvertono: il pericolo è dimenticarsi quanto forte è il Front, quel che manca nel Ps, non da ieri, è una visione per il futuro, una promessa.
[**Video_box_2**]Il ministro dell’Economia, Emmanuel Macron, è l’unico nel Ps ad aver dato forma a una proposta economico-politica ben definita, ma si sa che il ministro non sa cosa voglia dire – non ancora, almeno – gestire il consenso, non avendo mai affrontato un’elezione. Proporre un cambiamento e poi essere votati, questo è il problema. Lo conosce bene Pedro Sánchez, leader dei socialisti spagnoli, che domenica va al voto e nei sondaggi appare incastrato tra la sinistra radicale di Podemos e l’ascesa arancione di Ciudadanos. Per le sinistre d’Europa, la ricerca di un’identità per evitare di muoversi soltanto con tatticismi di breve respiro è una caccia eterna e affannata. Soltanto l’Italia ha trovato con il Pd di Matteo Renzi un antidoto al populismo e soltanto il Labour inglese di Jeremy Corbyn ha dato forma a una proposta chiara – per quanto si spera, per il bene del Labour, fallimentare. Altrove, forgiare una visione di sinistra, quando l’atout del tassa-e-spendi non può più essere giocato, è complicato. Il think tank americano Third Way ha condotto uno studio – poi pubblicato in chiave anti Bernie Sanders, il candidato democratico “radicale” (in Europa non lo sarebbe più di tanto) – per dimostrare che “rabbia” e “basso realismo economico” riempiono le piazze ma non portano alla vittoria (Podemos in Spagna ne sa qualcosa). Il think tank britannico Policy Network (presieduto dal laburista Peter Mandelson) ha pubblicato una raccolta di saggi che vuole essere un manualetto a uso dei progressisti per abbandonare “la rabbia” e riconquistare “la speranza”. “Good pr is not enough”, scrive Mandelson, ci vogliono nuove idee, e se si pensa che in Francia persino le pr dei socialisti non sono poi così brillanti, si capisce perché una non-disfatta è già un motivo per mostrare un sorriso.