Non solo boots on the ground. Contro la passività dell'occidente
Alcuni osservatori hanno sostenuto che comunque si tratta di “terrorismo” mentre Hollande e il governo francese dopo il 13 novembre hanno affermato che si è in guerra. Ora a superare queste differenze interpretative ci aiuta non tanto la fraseologia usata dal Pentagono quanto un’espressione insieme suggestiva e assai incisiva fatta da Papa Francesco quando ha parlato di “terza Guerra mondiale a pezzettini”. È esattamente quello che sta facendo Isis-Daesh che sta mettendo in atto la cosiddetta guerra asimmetrica, per cui in Siria-Iraq c’è una guerra guerreggiata, in altri paesi c’è una guerriglia strisciante, in altri ancora vengono compiuti atti di terrorismo “classico”, nel cuore dell’Europa, in Francia, è stata scatenata un’autentica operazione di guerriglia urbana, per dare il senso a tutti della “geometrica potenza” di fuoco di questa nuova realtà politica di stampo terrorista che è anche in grado di colpire gli infedeli sul loro territorio, perdipiù nel corso della loro vita quotidiana. Ora si può discutere all’infinito, ma non c’è niente da fare: alla fine di un percorso assai complesso, con mille passaggi intermedi, per smontare un fenomeno così aggressivo, invasivo e violento occorre l’intervento militare di aria e di terra di una grande coalizione di nazioni occidentali, arabe, della Russia e della Cina, che smonti il fenomeno Isis nel suo insediamento territoriale fondamentale in Siria e in Iraq. Si tratta della condizione essenziale anche per togliere l’acqua ai “pesci” che nuotano sott’acqua nei paesi dell’occidente. Certamente, nell’immediato, la costruzione di questo schieramento richiede un grande lavoro politico, diplomatico e culturale anche perché oggi esso non esiste. Ora non ci sentiremmo di attribuire oggi alla Francia di Hollande rispetto a Isis in Siria lo stesso tragico errore fatto dalla Francia di Sarkozy in Libia. Allora Sarkozy si mosse animato dalle ambizioni tipiche di un “imperialismo straccione” (Lenin) che voleva soppiantare l’Italia in Libia approfittando dell’estrema debolezza del governo Berlusconi. Invece oggi Hollande reagisce a un’autentica operazione di guerra fatta sul suo territorio e per evitare che per effetto di questo vulnus la Francia entri in una crisi senza sbocchi ha reagito con il diretto l’intervento militare in Siria. Questa iniziativa di Hollande ha però messo in evidenza lo stato della questione: gli Stati Uniti sono in una fase di profondo travaglio, l’Unione europea, tanto per cambiare, è solidale con la Francia ma poi i singoli stati vanno ognuno per conto proprio, mentre la Russia di Putin e la Turchia di Erdogan sono nettamente contrapposti fra di loro, in nome di progetti imperiali assai pericolosi e inaccettabili. La Russia, prima ancora della lotta all’Isis intende sostenere Assad e il nucleo di potere alawita; la Turchia, che è la punta di diamante dei sunniti, vuole spazzare via Assad per affermare la sua indiretta egemonia sulla Siria. Entrambi ricorrono a tutti i mezzi possibili: Putin bombarda più i rivoltosi autonomi che l’Isis, a sua volta Erdogan bombarda i curdi e finora ha sostenuto l’Isis in vario modo. Il fatto che adesso Putin evochi addirittura la possibilità di un uso della bomba atomica dà la misura dell’avventurismo del personaggio e anche il fatto che egli, come Trump, usa una fraseologia estrema per galvanizzare la sua opinione pubblica. In ogni caso, consentire a Putin di usare una vicenda, quella siriana - nella quale interviene non per il suo buon cuore ma perché è vivamente interessato a giocare questa carta geopolitica, e a mantenere al potere Assad - addirittura per smontare senza contropartita le sanzioni per la vicenda ucraina, significherebbe per gli Stati Uniti e per l’Unione e uropea non solo essere “cornuti e mazziati”, ma anche dare un colpo durissimo alla Nato che giustamente deve tutelare la Polonia, la Lituania, l’Estonia, la Danimarca, la Norvegia, la stessa Svezia dall’esplicita aggressività russa.
In questo quadro, qualora esistesse, non condivideremmo affatto una iniziativa italiana che rimettesse in questione l’automatismo delle sanzioni per i prossimi sei mesi.
[**Video_box_2**]Alla luce di tutto ciò, quando Renzi parla della necessità di una “strategia” forse cerca anche di prendere tempo, ma non dice una cosa insensata vista l’esistenza di queste e altre contraddizioni assai profonde. Di conseguenza, chi oggi attacca Renzi per assenza di una autentica visione internazionale forse ha anche qualche ragione, ma dimentica però un elemento fondamentale: dall’8 dicembre in poi, l’Italia è al livello massimo dell’esposizione con il Giubileo. Di conseguenza è francamente comprensibile che Renzi non cerchi di aumentare l’esposizione dell’Italia oltre a quella che già ci sarà per forza di cose. Quelle che invece non sono condivisibili sono le inutili battute polemiche nei confronti della Francia. Per altro verso, al governo italiano si può imputare la timidezza avuta nei confronti dell’Onu rispetto alla Libia. Il governo italiano ha dato fino alla fine un eccessivo credito a un personaggio chiaramente inattendibile quale si è rivelato Bernardino León, per di più accettando una discriminazione da parte del segretario generale dell’Onu a proposito del passato coloniale dell’Italia: al contrario l’Italia ha con i libici, tutti i libici di buona volontà sia di Tobruk sia di Tripoli, dei rapporti profondi e quindi poteva benissimo esprimere un negoziatore plenipotenziario dell’Onu e tuttora può svolgere un ruolo essenziale in quel paese. Infine, qualche riflessione sulla paradossale discussione apertasi sul rapporto fra islamismo e terrorismo. Noi non condividiamo le due opposte tesi che si sono contrapposte, specie nei talk show: quella secondo la quale ci sarebbe una sorta di identità, suffragata da ampie citazioni coraniche (vedi anche l’Adonis citato dal Foglio) fra l’islam, una religione di per sé aggressiva e guerriera, e il terrorismo. Invece, secondo la opposta tesi buonista, sostenuta anche da Obama, bisognerebbe parlare di terrorismo tout court senza fare riferimento all’islamismo.
L’islam e il mondo musulmano sono segnati, al netto della stessa dialettica fra sunniti e sciiti, da molteplici correnti, ognuna delle quali si può avvalere di citazioni coraniche (basta mettere a fronte appunto le citazioni del Corano fatte da Adonis con quelle di opposto segno contenute nel documento dei “saggi” dell’Università di al Azhar). Quello però che più conta è la molteplicità delle esperienze storiche, che caratterizzano i vari paesi islamici e i molti gruppi religiosi e politici all’interno del mondo musulmano.
A questo punto sarebbe indispensabile combinare insieme un forte attacco politico-militare a Isis-Daesh con una mediazione di alto livello fra i sunniti e gli sciiti. Su un altro terreno è indispensabile un piano Marshall per il medio oriente allo scopo di favorire lo sviluppo di paesi come l’Egitto, la Tunisia, la Giordania, l’Algeria, il Marocco e altri. Iniziative del genere, quella militare, quella politica e quella economico-sociale, dovrebbero essere svolte sia dagli Stati Uniti sia dall’Unione europea superando le attuali passività.
L'editoriale dell'elefantino