Forze armate israeliane al confine con la striscia di Gaza (foto LaPresse)

Nessuna violazione dei diritti umani a Gaza da parte di Israele, dice un report dell'HLMG

Gabriele Carrer
Il rapporto ha evidenziato come lo stato israeliano ha rispettato il diritto dei conflitti armati durante la guerra dei Cinquanta giorni nell'estate del 2014. Violazioni accertate invece da parte di Hamas.

Le forze armate israeliane non solo hanno rispettato il diritto dei conflitti armati durante la guerra dei Cinquanta giorni nell'estate del 2014, ma hanno persino superato i parametri minimi previsti dalle norme internazionali. È quanto emerge dal rapporto di ottanta pagine intitolato “An assessment of the 2014 Gaza conflict” redatto da undici alti ufficiali in pensione del gruppo High Level Military Group provenienti da Australia, Colombia, Francia, Germania, India, Italia, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti. La squadra, di cui fa parte anche il generale italiano Vincenzo Camporini – ex capo di stato maggiore dell'Aeronautica e della Difesa –, non ha riscontrato alcuna violazione dei diritti umani da parte dell'esercito israeliano. “Abbiamo descritto le evidenze che abbiamo documentato – dichiara il generale Camporini al Foglio. Non ho idea delle fonti citate da altre testimonianze che reputo fuori dalla realtà”.

 

Il documento è stato pubblicato dalla Friends of Israel Initiative, il gruppo fondato nel 2010 per volontà dell'allora premier spagnolo José María Aznar al fine di combattere una “campagna di delegittimazione senza precedenti ai danni Israele”. Già all'inizio di quest’anno il gruppo HLMG aveva presentato le proprie conclusioni dinnanzi alla Commissione Diritti Umani dell'ONU. Questo rapporto, frutto di indagini sul campo da parte degli esperti, ha rinnovato la difesa dell'operato di Israele nella Striscia di Gaza nel conflitto del 2014, nonostante le stesse Nazioni Unite assieme a numerose ong avessero accusato lo stato ebraico di crimini contro l'umanità. “Crimini contro l'umanità e genocidi”, scrive nella prefazione Rafael L. Bardaji, direttore della Friends of Israele Initiative, “sono gli strumenti della lawfare, la guerra asimmetrica fatta di abusi di norme e procedure internazionali, portata avanti dagli oppositori di Israele”. Una guerra combattuta “per raggiungere obiettivi strategici che non possono essere raggiunti con mezzi politici e militari”, con armi “nelle mani dei nostri nemici che cercano di limitare e bloccare la capacità degli eserciti occidentali di perseguire i nostri interessi di sicurezza nazionale”.

 

Il punto di partenza dell'analisi degli eventi è la necessità di scegliere quale sia il diritto applicabile conflitto dei Cinquanta giorni: non le leggi sui diritti umani bensì quelle sui conflitti armati (Law Of Armed Conflict). “L'Occidente – continua il generale Camporini – quasi due secoli fa ha cercato di darsi delle regole per rendere il meno disumano possibile un conflitto armato. Sono regole in linea con le carte più importanti, in primis quella dell'Onu, che quando applicate proteggono civili e infrastrutture civili. O si applicano queste regole oppure si sfocia nell'opinabile e nell'emozionale. E purtroppo l'emozionale serve solo a calmare le anime belle ma non a regolare la convivenza civile tra popoli in conflitto”. Il rispetto delle leggi dei conflitti armati è il vero problema delle guerre asimmetriche di quest’epoca, sostiene il generale Camporini: “Sfruttare edifici in linea di principio intoccabili, come luoghi di culto e scuole, per crearsi un vantaggio tattico fa sì che l'altra parte combatta con una mano legata dietro la schiena. Ciò vanifica anche l'asimmetria tecnologica garantita dagli armamenti precisi che contribuiscono a ridurre i danni non voluti contro i combattenti. Questo atteggiamento viene sfruttato anche dal punto di vista mediatico: costringo il mio avversario ad attaccarmi e poi lo accuso di aver commesso un atto contrario ai diritti umani. Questa è la vera asimmetria dei conflitti di oggi, tra chi ha determinate regole e le rispetta e chi queste regole non se le pone, tra chi cerca l'ideale del conflitto senza vittime e chi è disposto a morire e far morire”.

 

[**Video_box_2**]Nel rapporti viene analizzato anche il numeri delle vittime civili, stimate in oltre 2.000 persone. L'Ufficio Onu per gli affari umanitari ha attinto a piene mani dai dati forniti dal Ministero della Salute di Gaza controllato da Hamas. I numeri erano pieni di incongruenze, tra nomi duplicati, età non corrette, morti da fuoco amico causate da Hamas o dalle sue organizzazioni affiliate (come nel caso di razzi che hanno fatto cilecca), morti non attinenti al conflitto ma classificati come tali. Se da una parte nessun crimine di guerra è stato dimostrato, dall'altra l'HLMG accusa della morte della stragrande maggioranza dei civili Hamas e la sua politica volta a causare, direttamente ed indirettamente, il maggior numero morti di civili palestinesi per soffiare sul fuoco dell'odio anti-israeliano.

 

Il documento denuncia l'utilizzo da parte di Hamas di scudi umani e conferma molte delle accuse rivolte all'organizzazione terroristica circa lo sfruttamento di mezzi, strutture e “siti sensibili” delle Nazioni Unite. All'occhio degli esperti non è nemmeno sfuggito il circo mediatico orchestrato da Hamas che negava ai media la possibilità di documentare vittime e feriti tra i combattenti indirizzando i reporter sui civili feriti. E non di rado, secondo le testimonianze, Hamas avrebbe “preparato” i set post offensive israeliane rimuovendo armi e combattenti e lasciando solo i civili prima di consentire l'accesso ai giornalisti.

 

Il rapporto inoltre ritiene adeguate le misure operative dell'IDF Israele finalizzate ad evitare vittime civili – tra queste il famoso “bussare sul tetto”, le chiamate e i volantini per avvisare degli attacchi, – e la struttura organizzativa che ha consentito il costante coinvolgimento del procurato generale militare con il fine di garantire il rispetto del diritto di guerra e delle regole d'ingaggio. “Un rispetto delle standard spesso in contrasto con la convenienza militare che”, ha dichiarato il colonello Richard Kemp, comandante delle forze britanniche in Afghanistan, “altre nazioni non sarebbero in grado di gestire”.

Di più su questi argomenti: