Il segretario generale dell'Osce critica la politica miope dell'Ue
Sulla questione Ucraina come sulla crisi dei migranti, l'Europa non ha fatto abbastanza e ha adottato solo politiche di emergenza. Parla Lamberto Zannier, segretario generale dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che sorveglia sugli accordi di Minsk (e dunque sulle sanzioni alla Russia).
Vienna. Al vertice del Consiglio europeo di domani e venerdì, le sanzioni occidentali contro la Russia per la questione ucraina sono tornate un tema di rilievo e di frizione politica grazie all’intervento dell’Italia. Roma chiede una valutazione circostanziata delle sanzioni, che si sarebbero dovute rinnovare automaticamente e la cui permanenza dipende dal pieno rispetto degli accordi di pace di Minsk. A sorvegliare sugli accordi di Minsk, con missioni sul terreno e monitorando il rispetto della maggior parte delle condizioni previste dai patti, è oggi l’Osce, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, un organismo che opera prevalentemente dietro le quinte. “Il nostro compito è quello di prevenire i conflitti, e questo riesce meglio lontano dai riflettori”, spiega al Foglio il segretario generale dell’Osce, Lamberto Zannier, diplomatico di lungo corso, che è stato anche rappresentante del segretario generale delle Nazioni Unite in Kosovo. Zannier lo incontriamo a Vienna, il quartier generale dell’Osce. “Noi non scendiamo per le strade con i carri armati, siamo piuttosto una piattaforma neutrale che permette alle parti in conflitto di incontrarsi e dialogare”. Una neutralità data dal fatto che i 57 paesi membri, diversamente dalla Organizzazione atlantica o dall’Unione europea, non hanno necessariamente la stessa politica di sicurezza o integrazione. La forza politica dell’Osce è la diversità degli stati membri, che comprendono tutta l’Europa, l’Asia centrale, Mongolia compresa, oltre a Stati Uniti e Canada.
“Operiamo sulla base di un consenso unanime”, aggiunge Zannier. “Il che non è facile di questi tempi. Basta pensare all’Ucraina, alla Siria, alla rotta dei Balcani dalla quale i profughi cercano di raggiungere l’Europa: le parti in causa, Russia, America e Turchia, hanno punti di vista molto differenti riguardo a come appianare i conflitti”. Un esempio paradigmatico lo forniscono le prime manifestazioni nel Maidan nel Kiev nel novembre 2013 contro l’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich, a causa della mancata firma dell’accordo di associazione con l’Ue. L’Ucraina, allora presidente di turno dell’Osce, cercò di minimizzare, non voleva farne un caso internazionale. L’Ue invece fece pressioni sul governo per portare avanti la politica di vicinato, peggiorando la situazione. “Solo in seguito Bruxelles si è resa conto di essere parte del problema”, ricorda Zannier.
Solo dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia si diede il via libera per una missione dell’Osce sul campo. “Nella questione ucraina sono due i compiti svolti dall’organizzazione: quello di peacekeeping, in cui i nostri ispettori sorvegliano che gli accordi di Minsk vengano rispettati, e il lavoro più prettamente politico, portato avanti dai cosiddetti facilitatori, che lavorano affinché le parti in conflitto si incontrino. I facilitatori hanno sede a Minsk”.
I rapporti con l’Ue non sono sempre facili. Secondo Zannier Bruxelles tende ad avocare a sé la regia delle operazioni, non riuscendo però ad andare oltre al problema contingente, a sviluppare strategie di lungo termine. Per esempio nella questione dei profughi. “L’Ue discute di quote, mentre dovrebbe analizzare e intervenire sulle cause”. Zannier racconta che già tre anni fa, durante un’assemblea generale dell’Osce a Istanbul, i paesi più direttamente coinvolti dall’esodo siriano lamentavano di non ricevere sufficiente aiuto e sostegno. “Io avevo riferito tutto ciò alle sedi competenti. Ma mi ero sentito dire da alcuni funzionari dell’Ue che questo non era un problema di cui l’Osce doveva occuparsi”.
[**Video_box_2**]Oggi Zannier teme che lo stesso approccio miope possa minare l’ancora fragile equilibrio nei Balcani. Per questo dà ragione alla cancelliera tedesca Angela Merkel quando mette in guardia la comunità internazionale sulla necessità di non lasciare i paesi della rotta balcanica da soli a gestire il flusso dei profughi. “Il passato storico, anche quello lontano secoli, in quella regione continua ad accendere gli animi”, dice Zannier. Certo, gesti come quello del premier serbo Aleksandar Vučić, che ha chiesto scusa per i crimini serbi a Srebrenica e ha fatto visita in Croazia promettendo investimenti, hanno un importante valore simbolico, “ma i soldi non fanno tutto. Bisogna puntare soprattutto sulla cooperazione interregionale”, sottolinea Zannier. In caso contrario riaffioreranno i risentimenti, come ha dimostrato il discorso tenuto dal ministro degli Esteri serbo Ivica Dačić in settembre alla riunione annuale dell’Osce. Dačić ha usato la piattaforma Osce per pronunciare un’invettiva contro l’Ue e contro la Croazia. “Bruxelles nemmeno ci invita alle riunioni sui profughi. Ci dicono che sono a porte chiuse. E intanto la Croazia chiude le frontiere e noi ci troviamo con il peso di migliaia di disperati sulle spalle”. Forse l’Ue darà più ascolto l’anno prossimo all’Osce, allora la presidenza di turno sarà tedesca.
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