Il sabba delle università inglesi
Roma. Il Daily Telegraph illumina così il paradosso di questa nuova santimonia: “Se Nelson Mandela poteva tollerare Cecil Rhodes, perché non possono farlo gli studenti di Oxford?”. Vestito di abiti dimessi, insofferente al lusso, fondatore della De Beers Diamonds che considerava il denaro come il mezzo formidabile di una ferrea civilizzazione, Cecil Rhodes è l’uomo che conquistò l’Africa meridionale per l’Inghilterra e che ha dato il nome alla Rhodesia (oggi Zimbabwe), firmando un’epopea fatta di ferrovie, telegrafi, emigrazioni e commercio. Attorno al suo nome però adesso si sta consumando una crisi isterica nel dorato mondo accademico inglese.
La statua di Cecil Rhodes a Oxford
“Rhodes Must Fall”, gridano gli studenti e i professori fuori da Oxford, molti dei quali beneficiano persino della Rhodes Scholarship, programma voluto da quel magnate “razzista” per far studiare a Oxford gli studenti stranieri. Intanto, in tutto il Regno Unito dilaga l’ostilità generalizzata contro le opinioni che potrebbero causare anche soltanto un accenno di disagio negli studenti, tanto da costringere il posato Financial Times a intervenire con un editoriale: “E’ interesse delle università preservare un ambiente accademico libero e fertile”. Invece siamo al dibattito come forma di abuso, come un “sabba”, un convegno di diavoli e streghe. C’è il caso della dissidente iraniana Maryam Namazie, cui è stato impedito di parlare in numerosi college, come il Goldsmiths e il Warwick. La sua apologia del free speech in chiave occidentale avrebbe “offeso” gli studenti di fede islamica. Stesso caso alla University College London, che ha bandito un ex studente, Macer Gifford, che avrebbe dovuto raccontare la sua esperienza nella fila dei combattenti curdi impegnati contro lo Stato islamico. La motivazione addotta? “In ogni conflitto ci sono due parti e il nostro college non vuole schierarsi”. E tanti saluti alle donne yazide. Il professor Frank Furedy, docente di Sociologia all’Università di Canterbury, sostiene che è un fenomeno nuovo in Inghilterra, mai visto prima. L’Università di East Anglia ha appena proibito l’uso del sombrero, perché considerato odioso verso gli studenti ispanici. Oxford ha cancellato un dibattito sull’aborto perché le organizzazioni femminili si erano lamentate per la presenza, fra gli oratori, di “una persona senza utero”. Non c’è da ridere: accade nell’università nata nel 1096. L’Università di Cardiff ha cercato di togliere la parola alla femminista Germaine Greer, “colpevole” di non ritenere uguali donne e transessuali.
[**Video_box_2**]Intanto, questi “safe spaces” sono usati dagli apologeti dei tagliagole islamici per raccogliere consensi e affiliati nelle università (“Jihadi John”, il defunto boia dell’Isis, è stato un brillante studente della Westminster). Alcuni giorni fa il Telegraph ha pubblicato un articolo dal titolo: “L’ideologia dell’Isis domina nelle università inglesi”. Nelle stesse università che trovano scomodo ospitare le femministe eterodosse, come la Queen Mary di Londra, a eventi sotto il segno dell’islam le donne si siedono in uno spazio in fondo alla sala, in ottemperanza alla sharia, neanche fossimo a Riad o Teheran. La Queen Mary nei giorni scorsi ha dovuto sospendere le attività della Islamic Society: reclutava troppi volontari per Raqqa. L’Università di Leicester ha organizzato una conferenza dal titolo “Dio esiste?”, assegnando posti diversi e separati a uomini e donne. In questa chiusura della mente inglese, l’attivista musulmana per i diritti delle donne, Maryam Namazie, è stata cacciata dai misogini barbuti con il plauso dei corrivi militanti Lgbt. Nei college inglesi, era Namazie, minacciata di morte dagli islamisti, ad aver bisogno di un “safe space”, uno spazio più sicuro, a dover parlare protetta dalle guardie del corpo, mentre studenti e professori sghignazzavano come tante tricoteuse sotto la ghigliottina, che battevano i piedi dalla gioia mentre salivano i condannati al patibolo.
Il Califfo sghignazza e ringrazia.