Il musulmano che ama De Gaulle
Parigi. “Se il terrorismo fosse figlio della povertà, allora almeno il 50 per cento dei giovani disoccupati di meno di venticinque anni che vive nelle periferie dovrebbe essere terrorista. Suvvia, diciamo invece come stanno le cose. I percorsi di questi giovani sono diversi. Non vengono solo dalle banlieue svantaggiate, alcuni sono figli della classe media, altri hanno fatto le migliori scuole e sono nati e cresciuti in famiglie benestanti. L’estrazione sociale non conta. Il punto in comune che lega questi giovani jihadisti è la ricerca di un senso, di un’identità, di una narrazione che trova sfogo nell’ideologia neosalafita: l’ideologia mortifera e dell’odio di Daesh”. A sfatare nuovamente l’idea pikettiana e di Papa Francesco secondo cui la violenza perpetrata in nome di Allah nasce esclusivamente da situazioni di povertà e frustrazione è una voce interna alla comunità musulmana francese, nonché uno degli intellettuali più in vista del panorama parigino: Mohammed Chirani. Che al Foglio rilascia la sua prima intervista al di fuori dei confini francesi, dopo aver condannato in diretta televisiva Daesh – acronimo arabo dello Stato islamico – e dopo le minacce di morte che questo sussulto gli è costato. “Oltre all’assenza di una educazione culturale e religiosa solida da parte dei loro genitori, c’è un forte malessere identitario che affligge i giovani musulmani in Francia: sono vulnerabili a un’ideologia di rupture, che risponde al loro bisogno di violenza, e questa è appunto l’ideologia dell’Isis”, dice al Foglio Chirani. “L’ideologia neosalafita, il cui successo è dovuto principalmente a una lettura grossolana, letterale e binaria dell’islam, attecchisce perché risponde alle questioni essenziali della vita: da dove venite, dove andate, cosa dovete fare, cosa non dovete fare, questo è il vostro destino sulla terra, questo è il vostro destino in cielo. Tutto è regolato, tutto è pronto. A questo si aggiunge il discorso teologico che dà una giustificazione all’odio e alla violenza, il lato sacro, l’idea che si agisce per conto di Dio e per andare in paradiso”.
Come la saggista Malika Sorel-Sutter, che nel suo ultimo saggio, “Décomposition française. Comment en est-on arrivé là?” (Fayard), ha demistificato con l’appoggio dei numeri la cantilena sulle diseguaglianze generatrici di jihadisti, anche Chirani è figlio dell’immigrazione araba. E come Sorel-Sutter, nato in Francia da genitori algerini, Chirani conosce bene la situazione delle banlieue. Dal 2009 al 2013, come delegato del prefetto, ha cercato di riportare la République e i suoi valori nei quartieri sensibili del Seine-Saint-Denis. Nel 2014 ha raccolto la sua esperienza in un libro, “Réconciliation française. Notre défi du vivre-ensemble” (François Bourin), e ora, tra una conferenza a Sciences Po, dove si è diplomato, e i principali palcoscenici televisivi, si batte per difendere l’islam dagli “impostori di Daesh”, come li ha definiti. Anche se rimane ancora una voce isolata. “In questo mio isolamento mediatico c’è tutto il paradosso della situazione in cui si trova la comunità musulmana”, afferma Chirani. “La maggioranza dei musulmani si riconosce in quello che ho detto. Per strada mi fermano e mi ringraziano per le mie parole contro i terroristi di Daesh”. Qualche giorno dopo gli attentati del 13 novembre, su i-Télé, Chirani ha attaccato prima in arabo e poi in francese la “setta degli assassini”, lo “Stato satanico”, “fanatico”, contro il quale ha dichiarato un “jihad spirituale”. “Sappiate che Dio rafforza e dà ragione a coloro i quali hanno usato parole giuste e abbandona gli ignoranti come voi. Sappiate che i nostri martiri cittadini francesi caduti sono in paradiso e i vostri terroristi all’inferno. Sappiate che non riuscirete a instaurare la discordia, la ‘fitna’ in Francia per farci piombare nella guerra civile, perché resteremo uniti”, ha intimato Chirani. Le sue immagini mentre fissa la telecamera, lancia il suo appello, bacia il Corano e subito dopo il passaporto francese dicendo di amare Dio e Maometto così come l’umanità e la Francia hanno fatto il giro del mondo. Il Monde fu il primo a dedicare un ritratto a questo figlio orgoglioso dell’islam e di Marianne, a questo “pellegrino della République”, come venne soprannominato, che nel 2007 organizzò una marcia solidale in solitaria da Strasburgo a Parigi per incitare i giovani delle banlieue a votare.
[**Video_box_2**]Chirani ricorda con trasporto i suoi studi nelle grandes écoles francesi, gli brillano gli occhi quando parla dei suoi miti, De Gaulle e Napoleone, e alla stregua di un altro intellettuale musulmano francese di spessore come Abdennour Bidar pensa sia arrivato il momento per i musulmani di assumersi certe responsabilità e passare all’autocritica: “C’è innegabilmente molto lavoro da fare, c’è una vera crisi nel mondo musulmano, c’è la ‘fitna’, c’è una grande discordia tra musulmani”. Come Napoleone nel 1808 con il Concistoro che organizzò il culto ebraico, la Francia “deve spingere oggi a una modernizzazione dell’islam”, sottolinea Chirani. Modernizzazione che passa da nuove interpretazioni del Corano, da riletture, verifiche e interpretazioni degli hadith, i detti di Maometto, ma anche dalla prevenzione della radicalizzazione. “Bisogna agire su due dimensioni per prevenire la radicalizzazione dei giovani e favorire il loro reintegro nel girone della nazione: la prima riguarda l’educazione religiosa, spirituale. Bisogna spiegar loro qual è il vero islam, non quello dell’Isis, l’islam della guerra, dell’odio, della violenza, della rupture. Bisogna insegnar loro l’islam della tolleranza, del vivre-ensemble, della pace, della spiritualità e fornire gli strumenti efficaci per poter comprendere il mondo in cui viviamo; in secondo luogo bisogna cominciare a spiegare la secolarizzazione e la laicità francese, perché senza la laicità non c’è la libertà pubblica. La laicità è lì per essere neutra e per difendere le religioni. A prescindere dalle origini e dalla confessione religiosa i giovani devono sentirsi parte di un progetto nazionale. Essere musulmani è una relazione invisibile, spirituale con Dio, mentre la cittadinanza, la nazionalità è un rapporto con la patria, un giuramento corporale”.