Gli strascichi del lunedì nero cinese e l'altalena delle piazze europee
Le Borse europee tentano il riscatto in apertura dopo un esordio di 2016 da dimenticare: ieri le principali piazze del nostro continente aveno chiuso le contrattazioni con forti ribassi, trascinate dall’incertezza geopolitica, specie dalle tensioni mediorientali tra Iran e Arabia Saudita, ma soprattutto dal tracollo della Borsa cinese, che ha visto il suo peggior inizio di anno nella sua intera storia finanziaria. Stamattina, tutti i principali indici segnano un rialzo intorno a un punto percentuale: Francoforte è la più timida nell'Eurozona (più 0,6 per cento), mentre Milano e Parigi salgono rispettivamente dello 0,82 per cento nel Ftse Mib e dello 0,78 per cento nel Cac40. Apertura a più 1 per cento per Londra.
La principale causa del nuovo lunedì nero delle Borse, però, è stata la Cina. Ieri infatti la Borsa di Shanghai ha sospeso le contrattazioni dopo che l’indice Csi 300, che comprende le compagnie a più ampia capitalizzazione a Shanghai e Shenzhen, è crollato del 7,02 per cento. E’ il peggior risultato dallo scorso 25 agosto, quando la Cina era investita da una pesante crisi di sfiducia dei mercati. Gli investitori sono stati spinti alle vendite dai dati della produzione industriale di dicembre, in contrazione ormai da dieci mesi consecutivi, e dai più generali timori che l’economia del paese sia più debole di quanto non dicano i dati ufficiali. David Buik, analista dell’agenzia di brokeraggio inglese Panmure Gordon, oggi alla Bbc si è detto sicuro che i dati di crescita del pil cinese per il 2016 siano altamente sovrastimati. Le cifre ufficiali parlano di una crescita del 7 per cento, ma per Buik è più realistico parlare del 3 per cento.
A provocare un picco di vendite hanno inoltre contribuito un ulteriore indebolimento dello yuan e la paura che venerdì possa essere sollevato il bando delle vendite imposto l’8 luglio e per sei mesi agli investitori che possiedono più del 5 per cento delle più grandi compagnie del paese. Secondo gli analisti oltre 150 miliardi di dollari di azioni (mille miliardi di yuan; secondo Goldman Sachs le azioni bloccate dal bando valgono 185 miliardi di dollari) potrebbero essere venduti al sollevamento del bando.
La sospensione delle contrattazioni di lunedì corrisponde anche alla prima messa in pratica del meccanismo di protezione (circuit breaker) deciso lo scorso mese da Pechino dopo la crisi di agosto. Il circuit breaker prevede che un movimento del 5 per cento nel Csi 300 faccia scattare una sospensione delle contrattazioni di 15 minuti e che un movimento del 7 per cento provochi la sospensione delle contrattazioni per tutta la giornata. Il Csi 300 è crollato del 7,02 per cento lunedì. Secondo gli analisti, una prima momentanea interruzione dopo il crollo del 5 per cento ha spinto gli investitori a vendere di più prima della sospensione definitiva. Più in generale, il Shanghai composite index è sceso del 6,9 per cento, il più piccolo Shenzhen composite index dell’8,2.
Dopo il crollo finanziario della scorsa estate, in cui, nel suo periodo peggiore, la Borsa cinese aveva perso 20 punti in tre giorni e bruciato in tutto 4 mila miliardi di dollari, i mercati sembravano essersi ripresi grazie alle manovre del governo di Pechino, che ha agito al tempo stesso sul piano della regolamentazione economica e della repressione politica, mettendo sotto inchiesta, tra le altre cose, numerosi banchieri e operatori finanziari. Il Shanghai composite index ha chiuso il 2015 con un +10 per cento, ma i guadagni sono stati mangiati quasi tutti dal nuovo lunedì nero della Borsa cinese, che ha contribuito a perdite a catena nelle Borse prima asiatiche e poi europee.
Ultimo aggiornamento alle ore 09:32 del 5 gennaio 2016