Gli spazi bianchi del Nyt, “per non offendere l'islam”
Roma. Al desk del New York Times, la comunicazione dal Pakistan è arrivata mentre si stavano già stampando le copie dell’edizione in vendita nel grande paese asiatico. “Rimuoveremo l’articolo sulla prima pagina e a pagina due dell’edizione di sabato perché contiene commenti sul Corano e il Profeta Maometto che possono seriamente offendere i nostri lettori”. Il risultato della clamorosa censura è un gigantesco spazio bianco dall’International New York Times venduto in Pakistan. Salman Masood, corrispondente del quotidiano in Pakistan, ha twittato sia l’edizione americana sia quella uscita nel suo paese.
La sua spiegazione è un capolavoro di sofistica: “Personalmente, non mi trovo a mio agio con qualsiasi tipo di censura. Ma allo stesso tempo, capisco la decisione di essere cauti in Pakistan, dove provocazioni a volte anche lievi connesse alla blasfemia possono portare a gesti violenti, anche mortali”. A un anno dalla strage di Charlie Hebdo, in quei due grandi buchi ci si può specchiare per capire cosa sta accadendo sulla libertà di espressione. Il direttore dell’edizione internazionale del colosso americano, Richard Stevenson, ha spiegato che la decisione di censurare l’articolo è stata presa dal provider dell’edizione pakistana. “L’alternativa sarebbe stata non uscire affatto”. L’articolo incriminato non offende affatto l’islam, racconta semplicemente una grande storia, di cui ha parlato anche Il Foglio. Firmato da Joshua Hammer, il reportage è sulla catena di “blogger laici che avevano criticato l’islam fondamentalista e il cui nome era apparso su una ‘hit list’”. Di quella lista, nove sono stati eliminati. Ogni volta, i terroristi a Dakka hanno diffuso la lista aggiornata con una grande X rossa sul volto di coloro che non scriveranno mai più. Come i giornalisti di Charlie Hebdo. I terroristi bengalesi non li hanno uccisi con il kalashnikov, come i redattori del settimanale satirico, ma con il machete, aprendo loro il cranio.
[**Video_box_2**]La strage non è avvenuta nel cuore della scintillante Parigi, ma nel buio Bangladesh. Ma in entrambi i casi, il New York Times è uscito senza il corpo del reato: censurando le vignette sul Maometto piangente, nel caso di Charlie Hebdo, e con due grandi spazi bianchi, nel caso dell’articolo sui blogger. Due riquadri che ne ricordano altri, appena pubblicati dal quotidiano danese Jyllands Posten nel decimo anniversario delle vignette sul Profeta. Spazi bianchi, anche lì, al posto delle caricature. Importeremo presto in Europa la “kala kanoon”, la legge nera del Pakistan che punisce la blasfemia con la pena di morte?