Non solo Colonia. Vacilla il multiculti à la tedesca
Roma. Il successo di un modello d’integrazione non lo si giudica da quante bottigliette d’acqua minerale vengono donate ai migranti scesi dai modernissimi treni nelle stazioni di frontiera, intonando l’Inno alla gioia di Beethoven e sventolando bandierine tedesche raccattate chissà dove. Né lo si valuta da quanti ettari di terra sono a disposizione, tra la Baviera e la Renania, per ospitare chi va in Germania per rifarsi una vita. Cinque anni fa, parlando a Potsdam davanti ai giovani cristiano-democratici, la cancelliera Angela Merkel disse che “i tentativi di creare in Germania una società multiculturale sono totalmente falliti”, aggiungendo che “l’idea secondo cui persone provenienti da diverse realtà culturali possano vivere le une vicine alle altre in modo felice non ha funzionato”. Horst Seehofer, già all’epoca leader della Csu e primo ministro della Baviera, colse subito la palla al balzo per chiedere un freno all’arrivo di migranti arabi e soprattutto turchi. E allora non c’era ancora stata la notte di Colonia, il Capodanno in cui un centinaio di donne hanno denunciato alla polizia molestie o violenze carnali compiute per le strade attorno alla monumentale cattedrale da bande di stranieri, forse – ha reso noto nel pomeriggio di ieri la polizia locale – da una gang di nordafricani con base a Düsseldorf che già in passato avrebbe adottato le stesse tattiche predatorie. E’ comunque un “disastro annunciato”, ha detto lo storico consigliere di Helmut Kohl, Michael Stürmer, a Repubblica: “Quei giovani sono uomini allo stato naturale, cresciuti in una cultura in cui la donna è animale da gregge”. La situazione – chiosava – “peggiorerà”, visto che “la polizia non può identificarli tutti”. Proprio ieri il governo federale dava i numeri di quello che è stato definito “l’enorme afflusso” registrato nel 2015: sono entrati in Germania 1,1 milioni di richiedenti asilo, ha asserito il ministro dell’Interno, Thomas de Maizière. Trecentomila in più rispetto alle stime agostane, il quadruplo di quanto verificatosi nel 2014. Quattrocentomila i siriani.
Merkel non ha mai smentito le frasi di Potsdam sul fallimento del modello multiculturale à la tedesca. Neppure quando, pochi mesi fa, faceva sapere ai partner europei che la grande Germania si sarebbe potuta permettere – in barba ai muri di Viktor Orbán e ai distinguo di polacchi e cancellerie baltiche – di accogliere chiunque in fuga dalle rispettive terre, senza fissare quote. Il problema è che il sistema d’accoglienza e di inserimento dei potenziali “nuovi tedeschi” è lo stesso bocciato cinque anni fa. Identico, compresi i corsi di lingua da superare, pena il foglio di via. Con più di centomila richieste d’asilo al mese, è difficile fare gli esami a tutti, dopotutto. Gli aedi del multiculturalismo esaltano il ruolo della scuola come fattore d’incontro e di mescolanza, capace di forgiare cittadini del domani non interessati a rivendicare appartenenze patriottiche ed etniche. Religiose sì, ma – dicono sempre i teorici del multiculti – dopo aver studiato sui banchi accanto ad amichetti di altre fedi, le tensioni si allentano. Non è proprio così, ha chiarito l’Economist nel suo ultimo numero. Proprio come nelle banlieue parigine o nei sobborghi autogestiti di Bruxelles dove si parla arabo e si va a fare la spesa in burqa, i bambini rifugiati tendono a isolarsi: “Molti frequentano le scuole vicino ai centri d’accoglienza o nei quartieri abitati in maggioranza da immigrati”. Il risultato più immediato è che non imparano nemmeno la lingua del posto. E con le stime demografiche che prevedono un progressivo svuotamento delle culle autoctone e la crescita a ritmi record dei nati da genitori immigrati, il rischio che la profezia di Stürmer si avveri è alto. Tra i primi a suonare l’allarme era stato, anni fa, Heinz Buschkowsky, per quasi tre lustri sindaco “rosso” di Neukölln, distretto di Berlino, 325 mila abitanti. Prima di dimettersi, nel febbraio scorso, se l’era presa con “la pigrizia mentale e il divieto di parola sul dibattito relativo all’immigrazione”. Ieri la tv pubblica Zdf si è scusata con i telespettatori per averli informati in ritardo (“un nostro evidente errore di valutazione”); l’ex ministro dell’Interno, Hans-Peter Friedrich, ha parlato di un “cartello del silenzio” all’opera; mentre Chantal Louis, columnist della rivista femminista di Colonia Emma, ha detto che nello specifico “ci sono donne che hanno esitato a denunciare per non dare l’impressione di accusare un’intera categoria”.
[**Video_box_2**]L’ex sindaco di Neukölln, Buschkowsky, accusava la politica – compresa quella per decenni portata avanti dal suo partito, l’Spd – di essere del tutto “avulsa dalla realtà”. Girava per i vialetti del suo quartiere, indicava all’interlocutore di turno i laghetti e le panchine hi-tech, l’erba ben tagliata, ma subito invitava a non illudersi: “Bande criminali arabe hanno il controllo di intere strade, studenti di quinta elementare non sanno parlare tedesco, ragazze invitate fuori dalle scuole a indossare solo abiti islamici”. Pochi mesi prima, l’imam locale aveva invocato l’intervento di Allah per distruggere “gli ebrei sionisti”. Un sistema così non regge, aggiungeva. Né si può ritenere che il flusso di richiedenti asilo sia immune da logiche già viste all’opera per i migranti economici. Lo scorso ottobre, un’inchiesta dello Spiegel faceva il punto sul “numero crescente di incidenti nelle strutture d’accoglienza per gli immigrati”, a causa di clash cultural-religiosi: fino al caso del delitto d’onore di una siriana violentata due anni fa in patria e raggiunta poi dai famigliari (rifugiati) per fare “giustizia”. E’ un fallimento che parte da lontano, se è vero che perfino la comunità di immigrati non europei più “antica”, quella turca (5 milioni di residenti), ha fatto temere per la tenuta del sistema: un anno fa, ai tempi dell’ultima guerra di Gaza, centinaia di manifestanti palestinesi e turchi occupavano le strade di Essen al grido di “Hitler! Hitler!”.
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