Tutti i fronti aperti dalla Russia in Siria (e le botte francesi)
Milano. Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, ha usato toni molto duri nei confronti del regime siriano e del suo alleato russo: smettete di colpire i civili, ha detto, dopo aver incontrato a Parigi Riad Hijab, uno dei coordinatori dell’opposizione a Bashar el Assad (è un ex primo ministro del regime, Hijab, è scappato nel 2012). “Abbiamo discusso la necessità assoluta per Siria e Russia di fermare le operazioni militari contro i civili – ha detto ai giornalisti Fabius – e in particolare di risolvere la situazione a Madaya e nelle altre città assediate dal regime”.
Sulle colline vicino al confine con il Libano, a un’ora di macchina da Damasco, Madaya è morta di fame: lunedì i convogli della Croce Rossa sono partiti dalla capitale siriana diretti alla cittadina, dopo che l’Onu è riuscito a ottenere l’apertura di un corridoio umanitario per Madaya e per altre due villaggi nella provincia di Idlib, Foua e Kefraya (che sono assediati dai ribelli, ma non ci sono casi di morte di fame). Le ong che operano con il popolo siriano dicono che un’altra cittadina, nella periferia di Damasco, è stata isolata ed è senza cibo: “Arrendetevi o sarete annichiliti” è il messaggio arrivato ai cittadini di Moadhamiyeh, feudo dei ribelli colpito nel 2013 dall’attacco chimico. Gli assedi e la privazione del cibo non sono una novità – la guerra civile è stata scandita da bombardamenti e fame, lo Stato islamico adotta strumenti simili: secondo l’Onu almeno 400 mila persone in Siria sono sotto assedio, non possono uscire, non possono sfamarsi se non con quel che trovano – e anche quando sono stati concessi da Damasco gli aiuti umanitari soltanto il 10 per cento delle missioni, secondo l’Onu, è andato a buon fine. Il francese Fabius ha ribadito che questi metodi dimostrano che il regime di Assad “per motivi morali e di efficacia non può rappresentare il futuro della Siria, e allo stesso tempo i russi non possono intraprendere azioni inammissibili come queste”.
[**Video_box_2**]Tra poco più di dieci giorni, il 25 gennaio, è previsto l’incontro organizzato dall’Onu a Ginevra che dovrebbe mettere le basi per una transizione politica in Siria, con un contestuale cessate il fuoco e la programmazione per nuove elezioni e una nuova costituzione. L’inviato dell’Onu nel paese, Staffan De Mistura, è riuscito a convincere sia gli iraniani sia i sauditi a partecipare, nonostante la crisi in corso tra i due governi, e ha ottenuto l’accordo di Damasco ma non ancora dei gruppi dell’opposizione (sul cessate il fuoco non c’è dialogo: quando il diplomatico è arrivato a Damasco, venerdì, le forze del regime hanno attaccato una cittadina nella provincia di Idlib, almeno 57 morti). Il ruolo della Russia in questo contesto è sempre più opaco. Da quando è intervenuta in Siria, a fine settembre, Mosca ha dato sostegno all’esercito siriano, colpendo più l’ovest del paese – ancora lunedì ad Aleppo, almeno otto vittime – che l’est, dove ci sono i feudi dello Stato islamico (l’Institute for the Study of War tiene conto dei bombardamenti settimana per settimana, registra sia quelli “ufficiali” sia quelli segnalati dal campo, e li connota in modo diverso: da qualsiasi parte la si guardi, la mappa della missione russa in Siria, con tutte le cautele possibili, non c’è dubbio: la Russia colpisce più l’opposizione ad Assad, compresi i gruppi finanziati dagli americani, che lo Stato islamico). Ora si sta aprendo un fronte a sud: l’iniziativa militare russo-siriana sta facendo recuperare al regime terreno in direzione del confine con Israele e di quello con la Giordania (in questa zona non c’è lo Stato islamico). Jesse Rosenfeld del Daily Beast ha riportato le dichiarazioni di due comandanti di Hezbollah che dicono di ottenere armi direttamente dalla Russia e che le operazioni tra Siria, Iran, Russia e Hezbollah sono sempre coordinate: mai il rapporto tra Hezbollah e Mosca è stato tanto stretto.