Tra Santa Sofia e la Moschea Blu
Lo Stato islamico uccide turisti a Istanbul e attacca le fragilità di Erdogan
Roma. Martedì a Istanbul, in Turchia, un’esplosione provocata da un attentatore suicida ha ucciso dieci persone e fatto quindici feriti nel quartiere di Sultanahmet, zona centrale della città sempre affollata di turisti. Secondo il governo turco gli uccisi sono tutti cittadini stranieri, tra cui otto tedeschi e un peruviano. Anche buona parte dei feriti è straniera. “La Turchia è l’obiettivo principale di tutti i gruppi terroristici attivi nella regione”, ha detto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan; poco dopo il premier Ahmet Davutoglu ha confermato che l’attentatore suicida, un uomo di 28 anni nato in Arabia Saudita ma di origini siriane di nome Nabil Fadli, era un membro dello Stato islamico di Abu Bakr al Baghdadi. La Turchia è già stata colpita quattro volte da attentati suicidi dello Stato islamico negli ultimi 12 mesi – nel gennaio del 2015 ancora vicino a Sultanahmet, quando un jihadista si fece esplodere in una stazione di polizia – ma l’attacco di martedì costituisce un’escalation per modalità e intenti.
In precedenza gli attacchi si erano concentrati contro le autorità turche e soprattutto contro gli attivisti curdi che sostenevano la battaglia contro lo Stato islamico. Ma l’esplosione a Istanbul – avvenuta alle 10.15 a piazza Sultanahmet, tra la celebre Moschea Blu e la basilica di Santa Sofia – aveva come obiettivo principale i turisti. La dinamica ricorda gli attentati di Parigi dello scorso 13 novembre, con i terroristi che colpiscono nel cuore della città in un momento di grande affollamento, ma la strategia è più simile a quella già applicata dallo Stato islamico in Egitto e Tunisia: colpire un punto nevralgico per destabilizzare un paese che negli ultimi mesi ha già subìto molti scossoni.
L’attacco a Sultanahmet arriva dopo che la polizia turca aveva annunciato di aver sventato un piano per un grande attentato ad Ankara la notte di Capodanno, e nel pieno di un’ondata di arresti dell’antiterrorismo (21 sospetti membri di Is sono stati catturati martedì nel sud-est del paese; 16 ad Ankara). Lo scorso luglio un attacco suicida aveva ucciso 33 giovani curdi a Suruç, vicino al confine siriano, durante un evento per la ricostruzione di Kobane, e a ottobre un uomo si era fatto esplodere durante una manifestazione del partito curdo Hdp, provocando più di 100 morti. Allora il premier Davutoglu disse che i servizi d’intelligence avevano una “lista di possibili attentatori suicidi”, ma martedì ha precisato che Nabil Fadli non era tra i sospetti per terrorismo sorvegliati dall’intelligence. Il suo vice, Numan Kurtulmus, ha aggiunto che Fadli era entrato in Turchia solo da poco, passando per il confine siriano. Sigillare il confine con la Siria, che fino a pochi mesi fa è stato (volutamente, dicono i critici) una facile porta d’ingresso per i jihadisti che partecipano alla guerra civile, è una delle priorità più urgenti per il governo turco. Domenica Ankara ha contribuito con strike aerei e lanci di artiglieria a un’operazione delle brigate turkmene Liwa al Sultan Murat contro lo Stato islamico a Jarablus, in Siria, proprio con lo scopo di debellare il Califfato dalle zone più vicine al confine.
Ma a preoccupare il governo turco, tanto nel teatro siriano quanto all’interno dei suoi confini, sono i curdi, il cui tentativo di creare uno stato autonomo è visto da Erdogan come un pericolo maggiore dello Stato islamico. A metà dicembre l’esercito ha iniziato un’operazione militare nelle regioni curde del sud-est della Turchia, e da settimane assedia Diyarbakir, capitale de facto del Kurdistan turco, in una battaglia che ha già provocato la morte di 200 soldati turchi, 229 militanti curdi del Pkk e 188 civili, secondo le stime dell’International Crisis Group.
[**Video_box_2**]La Turchia è colpita dal conflitto siriano, è politicamente indebolita (ha affrontato due elezioni generali nel 2015, e il presidente Erdogan è nel pieno di una campagna per trasformare l’assetto del paese da parlamentare a presidenziale) e sempre più isolata a livello internazionale. Ha subìto le ritorsioni russe dopo che la sua aviazione ha abbattuto un jet di Mosca al confine con la Siria, e perfino i suoi alleati della Nato faticano a scacciare il sospetto che negli scorsi anni Ankara non abbia fatto abbastanza per prevenire l’avanzata del jihadismo in Siria.
Lo Stato islamico era al corrente di queste condizioni quando ha colpito a Sultanahmet, ed è per questo che l’attentato costituisce un salto di qualità: Is non mira più ai suoi nemici locali in territorio turco ma cerca di destabilizzare lo stato colpendo la sua economia e la sua credibilità. Il fatto che la stragrande maggioranza dei turisti uccisi fosse tedesca (in assenza di una rivendicazione è impossibile dire se si tratti di un atto voluto) e venisse dunque dal paese europeo che ha accettato più profughi della guerra siriana (e che ha iniziato giusto un mese fa voli militari per raccogliere intelligence contro Is sulla Siria) è un’aggiunta simbolica che va a tutto vantaggio dei terroristi.