Dieci marinai sequestrati
La politica di Obama con l'Iran si scontra con la realtà, in diretta tv
Milano. Strana notte, quella dell’ultimo discorso sullo stato dell’Unione di Barack Obama. Il presidente ha parlato di quanto è più sicura oggi l’America, è saltato da un dossier di politica estera all’altro in modo scaltro e rapido (mezza frase sulla Siria, per esempio), e in particolare ha detto: “As we speak, l’Iran ha ridotto il suo programma nucleare, ha trasferito le sue scorte di uranio e il mondo ha evitato un’altra guerra”. As we speak, però, gli iraniani avevano appena “preso in custodia” due barche militari di pattuglia con l’equipaggio di dieci persone, che erano “sconfinate” in acque iraniane, nei pressi dell’isola di Farsi, nel Golfo Persico, 25 chilometri quadrati non accessibili al pubblico perché c’è una base delle Guardie della rivoluzione della Repubblica islamica. I dieci marinai sono stati liberati ieri mattina, ma nella notte, tra una dichiarazione bizzarra e l’altra, con l’ammiraglio delle Guardie della rivoluzione, Ali Fadavi, che si godeva aggressivo l’attimo di popolarità, è andata in scena la debolezza degli Stati Uniti nei confronti del partner iraniano appena ritrovato – e c’è stato spazio anche per mostrare le divisioni interne alla Repubblica islamica.
La questione si è risolta in un clima disteso, gli iraniani hanno detto che lo sconfinamento “non è stato volontario”, ma dettato da un guasto tecnico, e i giornalisti vicini al presidente Hassan Rohani hanno sottolineato ai reporter internazionali come il rapporto tra le due diplomazie sia oliato e cortese, ricordando che soltanto qualche anno fa, nel 2007, quando a essere sequestrati furono 15 marinai britannici e il presidente iraniano era Mahmoud Ahmadinejad, ci vollero tredici giorni prima di ottenerne la liberazione. Oggi va tutto bene, no? Per l’Iran, sì: sono arrivati ieri gli ispettori dell’Agenzia atomica a controllare che non ci siano state violazioni, ma sono gli iraniani stessi a fornire materiali e campioni da analizzare, quindi il test non preoccupa granché; entro pochi giorni sarà scandita l’implementazione dell’accordo, con il congelamento delle sanzioni per un valore di 100 miliardi di dollari; le ultime provocazioni, un test missilistico e un razzo vicino alla portaerei Truman nello Stretto di Hormuz, sono state derubricate dall’Amministrazione Obama a capricci, non ci sono state reazioni né sanzioni (promesse e poi rimandate a data da destinarsi). Ecco perché nella notte strana del discorso di Obama, mentre il presidente diceva che con Teheran va tutto bene e le tv trasmettevano gli alert sul sequestro – “la visione del mondo di Obama si scontra con la realtà della tv”, ha scritto Michael Crowley su Politico – gli ufficiali iraniani hanno detto un po’ di tutto, gli americani sono stati concilianti, hanno anche accettato il fatto che liberare di notte dei marinai sarebbe stato pericoloso, meglio aspettare la luce del giorno.
Prima le autorità iraniane hanno fatto sapere che le navi americane stavano “spiando” le attività delle Guardie della rivoluzione (che sul mare, in quello stretto lembo d’acqua in cui si incrociano le intelligence di mezzo mondo, e si fanno i dispetti, sono fortissime), poi hanno detto che dovevano verificare le intenzioni dell’equipaggio statunitense, interrogandolo, poi hanno chiesto delle scuse da parte degli Stati Uniti. Mentre il capo del dipartimento di stato, John Kerry, telefonava allarmato al collega-amico a Teheran, Jafad Zarif, l’ammiraglio Favadi spiegava: “Il ministro Zarif è stato molto diretto con Washington, l’America deve scusarsi”. Quando ha iniziato a circolare la notizia di un imminente rilascio – Obama stava parlando – sempre Favadi ha fatto sapere che nulla era certo, “aspettiamo la decisione dei più alti in grado della gerarchia” – dove con tutta probabilità si stava discutendo parecchio. Dopo la liberazione, mentre i sostenitori dell’appeasement sottolineavano che nulla sarebbe andato tanto liscio senza il lavorio diplomatico degli ultimi due anni, il capo delle Forze armate di Teheran, il generale Hassan Firouzabadi, diceva: “Senza le nostre buone intenzioni, gli americani adesso starebbero affrontando una nuova crisi”. Un’altra dimostrazione di chi detta le regole del gioco, di provocazione in provocazione, stropicciando anche la notte strana dell’ultimo discorso sullo stato dell’Unione di Obama.
L'editoriale dell'elefantino