Kippah in campo
Parigi. “L’an prochain à Jérusalem?” è il titolo di un’opera appena pubblicata in Francia dalla Fondation Jean-Jaurès e scritta a quattro mani da Jérôme Fourquet e Sylvain Manternach. Si tratta di una raccolta di testimonianze e insieme di un termometro dell’inquietudine che sta percorrendo la comunità ebraica francese dinanzi all’aumento dell’antisemitismo. Sono sempre più gli ebrei che si chiedono se l’anno prossimo saranno costretti a raggiungere Gerusalemme perché la Francia non è più quel paese sicuro che li ha accolti e protetti per decenni. E in molti non hanno aspettato l’appello del presidente del concistoro israelitico di Marsiglia, Zvi Ammar, per lasciare a casa la kippah: Ammar, in seguito all’aggressione con machete a un insegnante ebreo da parte di un quindicenne turco che ha detto di aver agito in nome dello Stato islamico, ha invitato i suoi correligionari a non indossare più la kippah “in attesa di giorni migliori”.
“Mio marito porta la kippah a Sarcelles, ma non la porta dappertutto in Francia”, racconta una giovane dei sobborghi fuori Parigi in “L’an prochain à Jérusalem?”. “Alcune settimane lavora a Lunel, lì dove molti giovani sono partiti per fare il jihad, e non la porta. Nemmeno quando va a Lilla la indossa. Oggi non frequentiamo le zone pericolose, ossia quelle zone con molti stranieri, restiamo nei pressi di Sarcelles”. E’ questo il tenore delle testimonianze raccolte da Fourquet e Manternach nel corso di una serie di interviste fatte nell’agosto 2015. Interviste realizzate dopo i tragici fatti dell’Hyper Cacher – il supermercato kosher dove il terrorista islamico, Amedy Coulibaly, uccise quattro persone nel gennaio 2015 – ma prima dell’aggressione di Marsiglia, che misurano il crescente timore della comunità ebraica francese. Giovedì Libération titolava così in prima pagina: “Costretti a nascondersi?”, con la foto di alcuni ebrei, di spalle, con la kippah, quel copricapo, simbolo di rispetto verso Dio, che ora è diventato “affaire d’état”, affare di stato, come ha riassunto il quotidiano La Provence. Nell’editoriale di giovedì, intitolato “Solidarité”, il direttore di Libé, Laurent Joffrin si è chiesto come sia ancora possibile “tollerare che sessant’anni dopo la fine della guerra gli ebrei siano costretti nascondersi”, sottolineando che “l’incredibile regressione indotta dal terrorismo islamista ha qualcosa di agghiacciante”. Joffrin, in seguito, scrive che la reazione d’orgoglio del Gran Rabbino di Francia, Haïm Korsia, che dissociandosi dall’appello del presidente del concistoro israelitico di Marsiglia ha affermato che gli ebrei di Francia devono “continuare a indossare la kippah”, è quella “giusta”. Rifiutare l’abdicazione dinanzi alle minacce deve essere la sola risposta. Nessun cedimento, nessun passo indietro deve essere fatto. Lo pensa il presidente del Crif (Conseil représentatif des associations juives de France), Roger Cukiermann, che ha salutato positivamente il sussulto di Korsia e criticato l’“atteggiamento di rinuncia” di Ammar: “Non dobbiamo cedere su nulla, continueremo a portare la kippah”. Lo pensano anche i rappresentanti nazionali del culto ebraico, che hanno lanciato lo slogan “Touche pas à mas kippa!”.
Ma nonostante le reazioni, la “grande inquietude des juifs”, come ha titolato giovedì il Parisien, resta una realtà. “Tre anni fa si poteva coabitare. Mohammed Merah a Tolosa, la gang dei barbari, pensavamo fossero dei casi isolati. Ma dopo Charlie si sente una vera frattura”, dice David a Libération. Più pessimista Vanessa: “Mi sento più vulnerabile in quanto ebrea ma non sono sciocca: siamo i primi obiettivi, lo siamo sempre stati, ma toccherà tutti questa volta. Sono convinta che la situazione andrà degradandosi sempre più, a una velocità folle, e che presto non potremo più vivere se non cambieremo le nostre abitudini quotidiane”.
[**Video_box_2**]Lunedì il presidente François Hollande ha condannato l’attacco antisemita di Marsiglia, parlando di “atto terribile e ingiustificabile” prima di ribadire il “suo sostegno alla vittima e alla sua famiglia” e assicurare “la mobilitazione dei poteri pubblici per agire con la massima fermezza contro l’antisemitismo e il razzismo”. Giovedì ha rincarato la dose: “E’ insopportabile che dei cittadini si sentano inquieti, aggrediti e colpiti per via delle loro scelte religiose e che possano arrivare alla conclusione di doversi nascondere”. Il primo ministro, Manuel Valls, e il ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, si sono anch’essi detti “sconvolti” per l’“aggressione antisemita” e hanno garantito una risposta severa contro chi cerca di destabilizzare “l’unità repubblicana”. Ma restano i dati drammatici, riportati giovedì da molti giornali, che mostrano l’inquietante crescita di episodi di antisemitismo in Francia e la diaspora degli ebrei francesi verso Israele (7.900 hanno fatto l’alyah nel 2015, secondo le cifre diramate da l’Agence Juive, organo incaricato di preparare le partenze verso Israele). “La Francia è per il secondo anno consecutivo il primo paese al mondo per numero di cittadini ebrei partiti. Non era mai successo dal 1948 e dalla creazione dello stato d’Israele”, ha detto al Parisien Daniel Benhaïm, direttore dell’Agence Juive. Mercoledì, Meyer Habib, deputato centrista (Udi), e Claude Goasguen, deputato neogollista (Républicains) si sono presentati all’Assemblea nazionale con una kippah, in segno di solidarietà con la comunità ebraica francese. Il Grande Rabbino di Francia Korsia ha invece lanciato un appello per una mobilitazione generale dei cittadini contro l’antisemitismo. Appello subito raccolto a Marsiglia, dove i tifosi di calcio dell’Olympique de Marseille, per mostrare la loro vicinanza alla comunità ebraica, hanno creato delle kippah con i colori della squadra, che indosseranno durante il prossimo match di campionato contro il Guingamp.
Dalle piazze ai palazzi