L'Italia blocca il patto merkeliano sui migranti con la Turchia
Bruxelles. Nella sola mattinata di ieri, 26 imbarcazioni cariche di migranti sono state individuate dalla squadra di Médecins Sans Frontières che opera al largo dell’isola greca di Lesbo. Secondo l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, nei primi dieci giorni del 2016, 18.334 persone sono sbarcate sulle isole della Grecia (Lesbo, Chios, Samos, Leros e Kos) contro le 1.694 del 2015. Nel frattempo, la Bulgaria sembra destinata a diventare una nuova via di ingresso via terra: questa settimana la polizia bulgara ha intercettato 118 migranti (68 bambini, 26 donne e 24 uomini) che cercavano di attraversare il fiume Maritsa al confine tra Turchia, Grecia e Bulgaria. I primi numeri del 2016 dimostrano che il Piano d’azione concordato dall’Unione Europea con la Turchia – l’architrave della strategia comune per cercare di arginare i flussi – non funziona. Dopo un viaggio lampo a Ankara lunedì per cercare di convincere il governo di Recep Tayyip Erdogan a mantenere la promessa di bloccare le partenze in cambio di 3 miliardi di euro di aiuti, il vice-presidente della Commissione, Frans Timmermans ha dovuto ammettere che gli europei non possono essere “soddisfatti”. Ma, secondo Timmermans, le “soluzioni europee sono le uniche risposte alla crisi”: ricollocamenti di richiedenti asilo da Grecia e Italia, hotspot per la registrazione dei migranti e l’espulsione di quelli illegali, creazione di una guardia-frontiera a dodici stelle da far intervenire quando uno Stato membro perde il controllo dei propri confini, revisione delle regole di Dublino. “Quest’anno, queste settimane, i prossimi mesi devono essere dedicati a ottenere chiari risultati in termini di ripresa del controllo dei flussi e delle nostre frontiere”, ha detto Timmermans.
In realtà, le ultime cifre sulle misure adottate dall’Ue sono impietose. Da settembre i ricollocamenti sono stati 272 (190 dall’Italia, 82 dalla Grecia) rispetto all’obiettivo di 160 mila. Su 11 hotspot promessi soltanto tre sono pienamente operativi (Lampedusa e Trapani in Italia e Lesbo in Grecia). Negli ultimi quattro mesi, i rimpatri dei migranti illegali non hanno superato il migliaio: 683 in operazioni congiunte coordinate da Frontex verso Kosovo, Nigeria, Albania, Pakistan, Armenia, e Georgia; 153 dall’Italia verso Egitto e Tunisia; 0 dalla Grecia. Gli europei accusano Ankara di non fare quanto promesso sul piano d’azione, ma non hanno ancora trovato un accordo su chi debba finanziare i tre miliardi promessi alla Turchia. Secondo diverse indiscrezioni arrivate anche a Reuters, l’Italia blocca il compromesso su due miliardi a carico degli Stati membri e un miliardo per il bilancio comunitario.
Lungi dal perseguire soluzioni europee che non danno risultati, gli Stati membri stanno moltiplicando le risposte nazionali per evitare di diventare la destinazione finale di rifugiati e migranti economici. Il 4 gennaio la Svezia ha rafforzato i controlli alla frontiera con la Danimarca, bloccando chiunque non abbia una carta di identità. Il governo di Copenaghen ha reagito introducendo controlli al confine con la Germania. Le autorità di Berlino hanno iniziato a respingere verso l’Austria i migranti che non chiedono asilo in Germania (in media 200 al giorno), spingendo il governo di Vienna a fare altrettanto con la Slovenia (1.600 respingimenti nei primi 10 giorni del 2016) grazie a interpreti che verificano dall’accento l’origine dei sedicenti rifugiati (siriani e iracheni sono benvenuti, mentre marocchini e algerini vengono respinti). Confrontata a più di 1.200 arrivi quotidiani dalla Croazia, la Slovenia non esclude la possibilità di introdurre nuove misure per bloccare gli ingressi al confine croato. Il rischio è che “queste soluzioni nazionali portino a una situazione in cui decine di migliaia di migranti si ritrovino bloccati nei Balcani in pieno inverno”, spiega una fonte europea: in una reazione a catena di chiusura delle frontiere, l’ultimo anello è la Grecia “dove le capacità di accoglienza sono inesistenti”.
La Danimarca ha inaugurato una nuova forma di politica di dissuasione nei confronti dei rifugiati. I liberali al governo, i populisti anti-immigrazione e i socialdemocratici hanno trovato un accordo per far passare in Parlamento una legge che prevede di confiscare i beni di valore dei richiedenti asilo sopra i 1.350 euro (e che non abbiamo valore affettivo) per contribuire a pagare le spese di mantenimento e soggiorno. Dopo l’assalto sessuale alle donne di Colonia, la grande coalizione guidata da Angela Merkel ha deciso di rendere più facili le espulsioni per i richiedenti asilo. Ma, già prima delle violenze di capodanno, il governo di Berlino si era mosso per limitare i benefici sociali ai richiedenti asilo e limitare temporalmente la protezione concessa a alcuni rifugiati. Merkel, che ieri ha incontrato il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, è sempre più sotto pressione. Quaranta esponenti della Cdu hanno firmato una petizione per respingere i rifugiati che “vogliono entrare in Germania illegalmente attraverso un paese terzo sicuro”. Il comune di Landshut in Baviera ha caricato 51 richiedenti asilo su un autobus e li ha spediti a Merkel a Berlino. “Non ci sono più alloggi decenti” per loro, ha spiegato Peter Dreier, l’amministratore locale che ha organizzato il Merkelbus.
[**Video_box_2**]L’Italia per ora sembra al riparo: i 50 arrivi registrati dall’Unhcr nei primi 10 giorni del 2016, contro i 3.528 del 2016, confermano che l’Egeo è privilegiato rispetto alla traversata dalla Libia a Lampedusa. Ma la Commissione ha chiesto a Roma di preparare piani d’emergenza per un eventuale deviazione nei Balcani, che potrebbe spingere i migranti a scegliere la frontiera tra Italia e Slovenia. Inoltre, l’Italia è vulnerabile alle ripercussioni politiche della crisi dei rifugiati. L’idea di una mini-Schengen – una zona di libera circolazione senza Grecia e Italia – potrebbe imporsi come piano B se i flussi non diminuiranno. “Se non arriveremo a una soluzione, non mi aspetto che i governi dicano “il piano A non era disponibile e ora non facciamo nulla”, ha avvertito il ministro olandese dell’Immigrazione, Klaas Dijkhof.