Prima tocca alla kippah, poi gli ebrei scappano. Il caso Malmö
Roma. Nella zona industriale di Malmö, la terza città della Svezia da sempre governata dai socialdemocratici, c’è il celebre grattacielo a spirale realizzato dall’architetto spagnolo Santiago Calatrava. E’ ispirato a un torso umano, che vuole simbolizzare le decine di etnie che vivono in città, tutte affratellate in un abbraccio multiculturale. Approssimativamente un terzo dei 300 mila abitanti di Malmö ha, infatti, un’origine straniera e questa percentuale è in costante aumento. Ma gli ebrei stanno fuggendo da Malmö. Negli anni Settanta, la comunità ebraica contava oltre duemila membri: oggi ne sono rimasti meno di cinquecento. Gli altri sono partiti per Stoccolma o per Israele. Il Centro Simon Wiesenthal ha diramato un avvertimento a tutti gli ebrei che si recano in visita a Malmö: “Togliete i segni religiosi in pubblico e non parlate ebraico”. Malmö infatti è Marsiglia con cinque anni di anticipo (due giorni fa, le autorità ebraiche nella città francese hanno diffuso un avvertimento simile: “via la kippà, per il vostro bene”). Prima dell’attentato a Copenaghen, un anno fa, all’asilo nido ebraico di Malmö c’erano 23 bambini: oggi ne sono rimasti cinque. Le guardie armate di fronte alla scuola, più che calmare la popolazione ebraica, hanno scatenato il panico e i genitori preferiscono iscrivere i bambini alla scuola pubblica. E’ la fine dell’identità ebraica, la diluizione. C’è chi sussurra che la sinagoga in città verrà presto trasformata in un museo. Dal 2010 a oggi, la sinagoga ha perso un terzo dei fedeli. Durante questo inverno, gli ebrei per strada sono stati apostrofati “morte agli ebrei” e “più coltellate”, in riferimento alla Terza Intifada in Israele. Il rabbino, Shneur Kesselman, è costantemente attaccato per strada: quasi duecento gli episodi di antisemitismo in dieci anni. Il suo tradizionale abbigliamento chassidico – vestiti neri, cappello e barba lunga – lo rende facile da identificare come ebreo. A contribuire a questo clima in città è stato lo storico sindaco di Malmö, Ilmar Reepalu, che di fronte alle aggressioni a una manifestazione di solidarietà a favore degli ebrei disse erano stati gli ebrei stessi “a provocare tali violenze non avendo condannato i crimini israeliani commessi nella Striscia di Gaza”.
“In questo momento, molti ebrei in Svezia hanno paura” scrive Johanna Schreiber, una nota giornalista che vive a Stoccolma. “I genitori hanno paura a lasciare i loro figli alla scuola materna ebraica, hanno paura ad andare in sinagoga e ci sono molte persone che stanno nascondendo le loro stelle di Davide, perché sono troppo spaventate per indossarle”. Fra gli ebrei americani e in Israele, il nome di Malmö è associato alla città al mondo più pericolosa per gli ebrei. Eccetto le capitali del mondo arabo-islamico, ovviamente. Petter Ljunggren, un giornalista svedese che voleva testare la vita degli ebrei a Malmö, ha indossato una kippah e una collana con la stella di Davide. Il risultato è un documentario per la televisione di un’ora e intitolato “Odiare gli ebrei a Malmö”. Nel quartiere simbolo dell’integrazione, Rosengard, contro Ljunggren sono state lanciate le uova dalle finestre. Alla fine, il giornalista è dovuto scappare e dismettere il copricapo ebraico. Un’altra giornalista ha percorso le strade di Södertälje indossando il velo islamico e non è stata importunata da nessuno. E’ questo che insegna Malmö: per gli ebrei il passo successivo dopo essersi tolti la kippah è lasciare una città e poi un paese. Specie quando il tuo primo ministro e ministro degli Esteri dicono che contro Israele non esiste terrorismo e che sono gli israeliani a dover essere messi sotto inchiesta. La placida e civilissima Svezia, il “paradiso dei rifugiati” trasformatosi in un incubo per gli ebrei.