Le operazioni dello Stato Islamico in Libia nelle ultime due settimane

Cosa si scopre mettendo in fila gli attacchi dello Stato islamico in Libia

Daniele Raineri
Quelli falliti preoccupano quasi più di quelli riusciti. Ci sono nuovi bersagli, inclusa Eni, e nuove tattiche

Roma. Quasi più che gli attacchi riusciti, è il bollettino degli attacchi falliti – per ora – dello Stato islamico in Libia a preoccupare. C’è uno sforzo evidente che il gruppo estremista sta compiendo per raggiungere zone del paese non ancora colpite e bersagli non considerati in precedenza, anche grazie all’uso di tattiche nuove. Domenica notte il gruppo estremista ha tentato un attacco dal mare con tre barche contro il terminal petrolifero di Zuetina, le guardie hanno respinto l’aggressione ma si tratta pur sempre di una mossa quasi senza precedenti (due giorni prima un piccolo commando di tre persone aveva attaccato un resort egiziano a Hurghada, sul mar Rosso, anche loro arrivavano dal mare con un barchino). Il tentativo dal mare segue due attacchi da terra contro gli altri due terminal petroliferi del paese, a Sidra e Ras Lanuf, che non sono stati né un successo né un fallimento: lo Stato islamico non è riuscito a tenere sotto la sua presa le cisterne del greggio dopo averle conquistate, ma secondo il portavoce della compagnia di stato libica ne ha incendiato circa 840 mila barili – che sono equivalenti più o meno a due giorni di estrazione in tutto il paese. A Sidra soltanto tre cisterne di stoccaggio su 19 sono ancora servibili e quindi si pensa di usare una petroliera ancorata davanti alla costa, anche perché considerata meno esposta.

 

Alle tre di notte di martedì 12 gennaio alcune jeep con mitragliatrici hanno sparato contro il compound Eni di Mellita, da dove il gas libico prende la strada dell’Italia e attraverso una pipeline sottomarina sbuca a Gela. I dati che riguardano il flusso di gas tra l’impianto libico e l’Italia confermano che non c’è stato alcun cambiamento, ma di nuovo, si tratta di una novità: il complesso di Mellita è uno dei luoghi meglio protetti della Libia, anche grazie a un accordo con i clan e le milizie locali che all’inizio di aprile 2015 ispirò un articolo del Wall Street Journal colorato di invidia: “La guerra infuria in Libia, ma Eni continua a estrarre petrolio”. Qualcuno ha deciso sfidare la protezione locale e di infrangere una pax che dura dal 2011. Il sito rientra in quella zona tra Sabratha e Zuwara dove – come ha scritto il Foglio all’inizio di dicembre – una manciata di uomini delle forze speciali italiane in abiti civili ha fatto lavoro d’intelligence in previsione di un intervento militare internazionale nel paese.

 

A Sabratha giovedì 7 gennaio un tunisino è stato arrestato mentre tentava di farsi esplodere in un mercato. Si tratta di un avvenimento inedito per la Libia e per Sabratha, che è infestata dallo Stato islamico ma non è ancora sotto il loro controllo. La città è l’area più occidentale in cui lo Stato islamico agisce, quindi più vicina al confine tunisino – che è un paese davvero importante per lo Stato islamico in Libia, circa millecinquecento volontari del gruppo sono tunisini (e questo vuol dire più o meno un terzo). Gli estremisti hanno, o meglio avevano, un occhio di riguardo per Sabratha, dove tengono un basso profilo per non scatenare reazioni e mettere a repentaglio la loro presenza in una zona così preziosa dal punto di vista strategico. Ma se ordinano a un istishaad – un uomo votato al martirio nella retorica del gruppo, uno stragista suicida per tutti gli altri – di farsi saltare in un mercato dobbiamo pensare che non sentono più il bisogno di discrezione.

 

Questi attacchi falliti fanno parte di una campagna cominciata lunedì 4 gennaio e dedicata alla memoria del capo dello Stato islamico in Libia ucciso venerdì 13 novembre da un raid americano vicino Derna, l’iracheno Abu Nabil al Anbari – era un veterano del gruppo con accesso diretto al leader Abu Bakr al Baghdadi, ma in Libia aveva preso un altro nome, Abu Mughirah al Qahtani. La campagna ha l’obiettivo di gettare nello scompiglio quel che resta del settore energetico libico, che avrebbe un potenziale di produzione enorme – il migliore di tutta l’Africa – ma è in sofferenza da anni per gli scontri tra milizie. E di farlo prima che un governo di unità nazionale (sarà annunciato domani) possa invocare l’aiuto militare esterno. La serie continuata di attacchi non arriva fino ai media, ma sta grippando il sistema: ieri un pezzo di oleodotto è stato fatto saltare a sud di Ras Lanuf, e il giorno prima cinque guardie sono state sequestrate.

 

[**Video_box_2**]Un cecchino non identificato a Sirte
In questo contesto di attacchi alle infrastrutture petrolifere, che infliggono danni che richiederanno molto tempo per essere riparati, ci sono raid aerei contro lo Stato islamico in una strana forma semiclandestina. Ieri l’agenzia italiana Nova ha citato sue fonti libiche di stanza a Tunisi per attribuire ai bombardieri Rafale egiziani la paternità dei bombardamenti sporadici  che hanno colpito lo Stato islamico negli ultimi sei giorni. Le fonti sul terreno ne segnalano almeno tre: uno contro un convoglio che da Sirte si spostava verso Bin Jawad, a est, quindi verso la zona petrolifera, uno contro il campo di addestramento di al Dhihar, a venti chilometri circa da Sirte, e uno a Sirte – il raggruppamento di bombardamenti in quell’area non stupisce, è lì che si concentra il grosso delle forze dello Stato islamico. I caccia egiziani sarebbero stati riforniti in volo da un aereo cisterna francese che ha incrociato davanti alla costa, con il transponder acceso – e quindi era identificabile sui tracciati radar. Questa collaborazione tra francesi e egiziani sarebbe il proseguimento in guerra del rapporto commerciale tra Parigi e il Cairo, che quest’anno ha acquistato una quantità importante di materiale bellico francese (inclusi i Rafale che sarebbero stati usati nei bombardamenti). Egitto e Francia non hanno confermato gli strike, come del resto nessun altro.

 

E’ comparsa anche un’altra minaccia per lo Stato islamico: un cecchino non identificato, forse un libico in cerca di vendetta, che secondo fonti locali spara ai leader del gruppo, dai tetti della loro capitale.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)