I sospetti franco-italiani in Libia e i conti politici non risolti
Roma. Il ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian ha invitato oggi a Parigi i colleghi di America, Australia, Regno Unito, Germania, Olanda e Italia per un vertice straordinario dei sette paesi occidentali impegnati militarmente nella lotta contro lo Stato islamico. La Francia colpita dal terrorismo mostra il suo attivismo nella zona mediorientale e in Africa: l’attentato in Burkina Faso qualche giorno fa ha ricordato quanto lo scenario subsahariano sia instabile, e la Francia lì è particolarmente esposta dopo l’intervento in Mali iniziato nel 2013. A margine del vertice internazionale, Le Drian ha incontrato la collega italiana, Roberta Pinotti. Si tratta di un appuntamento strategico soprattutto per quel che riguarda la Libia, il fronte che secondo l’intelligence americana sta diventando il più pericoloso: è necessario ristabilire il dialogo ai massimi livelli tra Parigi e Roma, a differenza di quanto avvenuto nel 2011, per raggiungere un compromesso nonostante le numerose frizioni.
Il fronte “franco-americano-britannico” insiste sulla necessità di forme di intervento militare per contrastare l’espansione dello Stato islamico in Libia ed eliminare i bersagli ritenuti pericolosi. Il ministro della Difesa tedesco, Ursula Von Der Leyen, non ha escluso la partecipazione di Berlino a un intervento militare. Va ricordato che nell’ambito del dispositivo Barkhane di stabilizzazione della zona Mali/Niger, il ministero della Difesa francese dichiara di aver “neutralizzato” una quarantina di nemici nel 2015; un dato che caratterizza l’impegno francese nella zona come una missione militare a tutti gli effetti, ma con obiettivi ben precisi e selezionati. Questi elementi caratterizzano anche il caso libico.
La Francia vuole estendere il raggio d’azione al nord del Niger, nella zona frontaliera con la Libia. La Francia si è velocemente ritrovata d’accordo con l’idea che la lotta contro lo Stato islamico non dovesse limitarsi all’Iraq ma estendersi alla Siria: tale logica potrebbe spingere oggi i francesi a compiere incursioni in Libia – incursioni già confermate dal Foglio che descrive la presenza sul terreno di forze speciali francesi così come americane, britanniche o italiane. Alla luce di tutto ciò si pone tuttavia il problema del futuro della Libia e della messa in sicurezza del paese.
I francesi affrontano il problema da una prospettiva di breve termine, volta essenzialmente al ripristino della sicurezza, senza proiettarsi nel lungo periodo. Giace in casa francese una dimensione repressa, quella del caos che si è instaurato in Libia dopo l’intervento del 2011. Il malumore italiano nei confronti dell’intervento francese non aiuta perché poggia sull’idea – errata – di una Francia in competizione con l’Italia per accaparrarsi risorse e mercato nel paese africano. Parigi pertanto tende a non fare in conti con il fallimento politico seguito all’intervento del 2011 per continuare a sostenere la sua lettura strettamente “di sicurezza”.
Sul lato italiano c’è un ulteriore problema. Roma si è astenuta nell’aiutare militarmente la Francia dopo gli attentati dello scorso novembre sia per motivi di equilibri politici interni sia per la consapevolezza che ben presto sarebbe giunto il turno di un’Italia protagonista in Libia. Ma anche da parte italiana esiste un’idea repressa di interesse nazionale in Libia che ha radici nel passato coloniale e fa considerare con sospetto qualsiasi azione in merito, rifacendosi alle antiche rivalità fra le nazioni europee nel Mediterraneo. La percezione italiana della situazione è molto più “politica” che “di sicurezza”. Gli italiani vogliono ragionare nel medio-lungo termine e per questo sostengono e spingono per lo sviluppo di meccanismi che possano assicurare una relativa stabilità al paese africano, partendo ad esempio dalle istituzioni politiche. L’Italia dispone di una buona intelligence e sa che un uso della forza mal gestito potrebbe aumentare il consenso antioccidentale intorno ad alcuni gruppi, rafforzando alla fine la loro pericolosità. Ma la rivalità con la Francia viene a intrecciarsi con la percezione italiana di una competizione con Parigi per la leadership in Libia e il simultaneo malessere francese nei confronti dell’Italia in seguito al mancato appoggio, anche simbolico, alle richieste di aiuto militare, dopo gli attentati del 13 novembre a Parigi.
[**Video_box_2**]I recenti passi in avanti nel processo di stabilizzazione del governo libico potrebbero creare un legittimo bisogno di un intervento di protezione della capitale libica e di messa in sicurezza delle sue istituzioni, il che corrisponde alla visione italiana dell’uso della forza. Allo stesso tempo potrebbero essere intraprese alcune azioni mirate per contrastare i gruppi terroristici più pericolosi, seguendo in questo caso l’approccio francese. Il tutto però coordinato e frutto di compromessi e negoziati e non di un sentimento di competizione che rischierebbe di mettere in pericolo l’efficacia dell’operazione. L’obiettivo di Pinotti e Le Drian è quello di trasformare la crisi – che va veloce – in Libia in un’opportunità di collaborazione.
Jean Pierre Darnis è direttore del Programma sicurezza e difesa presso lo IAI