Dare un'opportunità vicino a casa ai siriani in fuga. Il modello inglese
Roma. Dobbiamo aiutare i rifugiati siriani a farsi una vita nei paesi vicini alla Siria, a trovare un lavoro, una casa, un fidanzato, la voglia di ricominciare dopo la fuga dalla guerra, ha detto David Cameron in arrivo a Davos. Il premier britannico vuole fare pressioni sull’Unione europea perché siano riviste le regole di esportazione con la Giordania, rendendo così più facile – ha spiegato la Reuters – per i produttori giordani avere accesso al mercato europeo: l’obiettivo finale è creare posti di lavoro per i rifugiati. “Questa iniziativa porterà benefici reali ai rifugiati nella regione, che potranno poi giocare un ruolo di guida nella ricostruzione della Siria”, in un futuro che appare remoto ma che Cameron cerca di rendere più vicino. “Questo passo non è soltanto nell’interesse della Siria e dei paesi vicini – ha aggiunto il premier – E’ nell’interesse dell’Europa. Più creiamo le condizioni perché le persone restino nella regione, meno queste persone saranno costrette a venire in Europa”.
[**Video_box_2**]Il Regno Unito adotta una politica dura nei confronti degli ingressi dei migranti: dice che la capacità di accoglienza è contenuta (prende soltanto 20 mila rifugiati provenienti dai campi profughi), prospetta regole “culturali” di accesso – parlare l’inglese, adattarsi alla way of life britannica –, cerca la formula magica per fare quella selezione virtuosa che attira nel paese soltanto le menti più brillanti (è la ministra dell’Istruzione, Nicky Morgan, a essersi intestata la battaglia culturale dell’integrazione), e intanto studia una strategia in grado di fermare il flusso alle sue origini. Lo slogan “bisogna agire laddove la crisi comincia”, ripetuto invariabilmente dai leader europei, prende forma nel modello britannico, che pure offre la sua faccia più triste al confine più vicino, nella “giungla” di Calais. Il ministro della Difesa inglese, Michael Fallon, ieri ha proposto ai colleghi della coalizione che combatte lo Stato islamico una nuova strategia militare per “stringere il cappio” attorno a Raqqa. Fallon chiede una nuova direzione politica, spiega che nel 2015 è stata data copertura aerea alle forze che combattono sul campo ma che ora ci deve essere “un progresso significativo”, questo è il momento per premere “sulla testa del serpente”.
Oltre all’iniziativa militare, c’è quella economica di sostegno ai paesi mediorientali e ai loro campi profughi. Si parte dalla Giordania, partner affidabile dell’occidente – per domani è previsto un incontro a Davos tra Cameron e la regina Rania – e il prossimo mese Londra organizzerà una conferenza internazionale per raccogliere fondi. “Non dobbiamo soltanto accordarci sui finanziamenti e sugli aiuti – dice il premier – Ma anche su un’azione concreta che dia speranza a chi scappa, un lavoro per mantenere le famiglie e per mandare a scuola i bambini”. Questo schema prende il nome di “Syria-in-exile economy”, secondo la definizione dell’economista Paul Collier che, scrive lo Spectator, “è molto ammirato dal premier Cameron”. Ad agosto, proprio sul magazine conservatore, Collier scrisse un articolo dal titolo: “Se davvero volete aiutare i rifugiati, guardate oltre il Mediterraneo”, dopo essere andato in visita al campo profughi Za’atari, in Giordania, e aver visto lì vicino una zona industriale perfettamente equipaggiata ma vuota. Quello potrebbe diventare un “perfetto paradiso per l’occupazione”, scrive Collier, i profughi potrebbero lavorare, ritrovare la loro autonomia, ricominciare a fare progetti per il futuro. Per farlo funzionare, il paradiso, è necessario che i paesi europei diano aiuto alla Giordania che da sola non riesce a sostenere l’impatto dei rifugiati, così come non riesce a farlo il Libano. Lo schema del paradiso dovrebbe essere replicato, e potrebbe creare quella forza d’attrazione che ora viene esercitata dall’Europa (per Collier si tratta di una tentazione immorale, si offre l’asilo senza poterselo permettere), dando speranza anche a quei cinque milioni di siriani che sono stati cacciati dalle loro case ma che non riescono a uscire dalla Siria, perché i paesi vicini sono stremati. In fuga, eppure ancora sotto le bombe, i più disperati.