La Germania non è pronta alla rivoluzione culturale degli immigrati
Milano. “Non capire che con i profughi importiamo anche i loro conflitti vuol dire non guardare in faccia alla realtà”. Il sociologo tedesco Hans-Georg Soeffner ha idee forti sui fatti di Colonia e più in generale sull’impatto che il milione di profughi giunti nel 2015 in Germania potrà avere sulla società tedesca. Soeffner è professore emerito e fondatore della Scuola di sociologia ermeneutica dell’Università di Costanza. “Siamo una società pluralistica”, dice Soeffner al Foglio, e dunque “caratterizzata da una tensione tra la religione e la secolarizzazione di cui va tenuto conto”. Soeffner già in un articolo di qualche giorno fa per la Frankfurter Allgemeine spiegava: “L’Europa è la regione del mondo più secolarizzata in assoluto, ancora più degli Stati Uniti. Il suo modello di società, frutto ed eredità dell’Illuminismo, ci ha portato a convincerci che il nostro sia l’unico modello applicabile universalmente, perché basato sulla ragione. Questa presunzione ci porta a non riuscire a concepire che per altri questo modello non sia oggetto di ammirazione, ma anzi, che possa suscitare avversione”. Negare questo stato di fatto è pericoloso. Per questo Soeffner critica la lentezza con la quale si sta muovendo il governo tedesco.
La Germania, dal 1945 a oggi, – “e pochi lo sanno”, dice – è uno dei paesi d’Europa più interessati da fenomeni migratori (nel 2013 si contavano 10,7 milioni di persone provenienti da 194 nazioni diverse). Subito dopo la Guerra arrivarono i tedeschi dei Sudeti, tra gli anni Sessanta e Settanta i “Gastarbeiter”, i lavoratori migranti dai paesi europei, seguiti negli anni Ottanta e Novanta dai turchi (che oggi sono 2,6 milioni). Infine, dopo la caduta del Muro, ci fu l’ondata migratoria dei russi di etnia tedesca. “Fino a oggi non ce la siamo cavata poi tanto male. Per esempio non abbiamo le banlieue parigine e oltre il 40 per cento dei turchi ha ottenuto la cittadinanza tedesca. Turchi, curdi e aleviti non vanno d’accordo, e nemmeno i sunniti e gli sciiti. Ma fino a oggi non abbiamo avuto tensioni sociali di rilievo. Il merito va in gran parte all’associazionismo culturale, religioso, sindacale”. La Germania nella quale sono giunti i primi siciliani era un paese ancora molto rigido e conservatore, chi arrivava sapeva di doversi attenere alle regole vigenti, mentre gran parte dei tedeschi nutriva la convinzione che i Gastarbeiter prima o poi se ne sarebbero tornati a casa loro. Oggi quella tedesca è una società aperta, liberale, oltre che una potenza economica: la disoccupazione è ai minimi storici (6,4 per cento), nelle casse del ministro delle Finanze sono entrati 6 miliardi di euro di tasse in più (metà dovrebbe essere investita ora nell’emergenza profughi). “Ma anche se fosse ancora il paese degli anni Sessanta e Settanta”, dice Soeffner, “basterebbe la ricchezza a spingere la gente a venire qui. Solo che l’economia un giorno potrebbe non tirare più come ora, e allora sì che saremmo davanti a problemi enormi”. L’anno scorso si era calcolato un flusso di 500 mila profughi, ma nemmeno per quelli era stato approntato un piano. “Serve un progetto che metta al più presto i nuovi arrivati in condizione di integrarsi. Un piano edilizio, per farli vivere normalmente. Corsi di lingua per tutti, dai bambini agli adulti. Corsi di formazione professionale”.
[**Video_box_2**]Secondo il sociologo sono queste le basi per una vera integrazione e per quello che lui chiama un “contratto civico”. Un contratto stipulato da una società dove ogni suo singolo componente comprende e accetta le differenze, conosce le sovrastrutture, la loro interazione, i linguaggi e i ruoli, e se ne sappia avvalere. Un contratto civico in cui tutti collaborano al mantenimento dello stato di diritto. “Invece siamo di fronte a una disorganizzazione totale. Non siamo nemmeno in grado di registrare velocemente tutti i nuovi arrivati. E’ assurdo per un paese come il nostro, dove il diktat dell’ordine è sovrano”. E così ci si chiede tuttora cosa abbia spinto Merkel ad abbracciare la variante tedesca del “Yes we can!”: “C’entra probabilmente la sua storia personale, lei è figlia di un pastore protestante. E la speranza che con questo gesto venisse cancellata l’idea di una Germania xenofobo. Quando si guarda a Berlino non si può mai prescindere dalla sua storia”.