I due guardiani iberici contro l'avanzata dei populismi
La penisola iberica rischia di diventare un laboratorio politico per i populismi di sinistra, e nelle due capitali, Lisbona e Madrid, la politica è in cerca di anticorpi. A Lisbona il governo ammucchiata di ultrasinistra è già una realtà da alcuni mesi, con il premier António Costa del partito socialista che presiede un esecutivo di minoranza sostenuto dall’esterno dal Partito comunista e dal Blocco di sinistra, dopo aver rifiutato una grande coalizione con il centrodestra dell’ex premier Pedro Passos Coelho, il cui partito era stato il più votato alle elezioni di due mesi fa. In Spagna la formazione di un governo è ancora lontana, ma dopo che il leader di Podemos Pablo Iglesias ha proposto al Partito socialista (Psoe) di entrare insieme in un “governo del cambiamento” a trazione progressivo-populista, l’opzione di un’ammucchiata si fa sempre più probabile.
Gli esempi iberici mettono inquietudine in Europa, dove le forze populiste sono in ascesa nei sondaggi (con poche eccezioni, per esempio l’Italia), il bipolarismo è in crisi e l’instabilità politica sembra un pericolo concreto. La Commissione europea, per esempio, ha detto ieri che la situazione politica in Spagna rischia di creare un clima di sfiducia che renderebbe il paese più “vulnerabile” in caso di nuove turbolenze sui mercati. Gli investitori e i partner politici hanno bisogno di figure di garanzia, di rassicurazioni sul fatto che dalla penisola non arriveranno scossoni.
Il Portogallo ha eletto domenica la sua figura di garanzia, il presidente della Repubblica. Il nuovo capo dello stato è Marcelo Rebelo de Sousa, 67 anni, esponente del Partito socialdemocratico (che in Portogallo è il principale partito di centrodestra) ed eletto con il 52 per cento dei voti per tenere sotto controllo l’ammucchiata a sinistra del premier Costa. Il suo predecessore, Anibal Cavaco Silva, anche lui esponente del centrodestra, per settimane durante le consultazioni post elettorali aveva tentato di propiziare un governo di Grande coalizione, e alla fine aveva ceduto all’esecutivo Costa solo facendo promettere a tutti i suoi sostenitori responsabilità fiscale e fedeltà alla Nato e all’Ue – cosa non scontata visti i programmi dei partner politici di Costa. Anche lunedì Cavaco Silva è entrato in maniera divisiva nel dibattito politico, mettendo il veto e rimandando in Parlamento una legge che permette le adozioni da parte di coppie omosessuali.
Marcelo Rebelo de Sousa, ex insegnante, ex presidente del Partito socialdemocratico, lontano da anni dalla politica attiva e famoso soprattutto come conduttore di alcuni famose trasmissioni politiche in tv, avrà invece il compito di gestire la convivenza con l'esecutivo. Il presidente eletto è stato l’unico candidato di centrodestra a non promettere misure straordinarie per minare il governo, e questa è una della ragioni che gli sono valse l’elezione al primo turno. A gennaio ha detto in un’intervista a Euronews che lui “non intende creare problemi, instabilità o criticità all’azione del governo” (e in tema di coppie omosessuali ha dichiarato prima delle elezioni che lui, al contrario di Cavaco Silva, non avrebbe messo il veto alle adozioni). Come in Italia, il presidente della Repubblica ha un ruolo soprattutto onorifico, ma conserva alcuni poteri cruciali come quello di designare il primo ministro e di sciogliere le Camere. Il Portogallo oggi ha bisogno di un guardiano contro l’ondata populista, e i portoghesi si chiedono se il liberale Marcelo Rebelo de Sousa, con le sue velleità di essere un semplice “arbitro” tra le parti, possa essere la persona giusta.
In Spagna invece è ancora tutta una questione di chiamate senza risposta. Dopo le elezioni di dicembre il paese è senza una maggioranza stabile e i partiti dovrebbero mettersi d’accordo per formare una coalizione, ma il premier facente funzioni del Partito popolare (Pp), Mariano Rajoy, venerdì in conferenza stampa ha detto che il leader del Partito socialista (Psoe) Pedro Sánchez non gli vuole nemmeno rispondere al telefono. Il leader di Ciudadanos, Albert Rivera, si è lamentato invece del fatto che Rajoy non l’abbia ancora chiamato e ha detto che non ha intenzione di chiamare Pablo Iglesias di Podemos. In tutto questo, nessuno chiama re Felipe VI. E’ a lui che la Costituzione spagnola attribuisce il ruolo di capo dello stato, è lui il garante dell’unità nazionale e spetta a lui il compito di sbrogliare la matassa del nuovo governo spagnolo. Venerdì scorso Felipe aveva dato a Rajoy il mandato di formare un governo, ma questi, dopo aver annunciato fino all’ultimo che si sarebbe assunto la responsabilità, alla fine ha momentaneamente declinato l’invito. Toccherebbe a Sánchez, ma tutti sanno che se il re gli desse un mandato declinerebbe anche lui, e il monarca perderebbe la faccia davanti a due rifiuti di fila.
[**Video_box_2**]I commentatori dicono che la situazione è così ingarbugliata che le consultazioni con il re ormai sono inutili, e c’è perfino chi parla di un vulnus costituzionale, perché non è previsto un limite massimo al periodo di consultazioni, e senza nessuno che si assuma la responsabilità di formare un governo l’attuale esecutivo potrebbe essere prorogato ad libitum. Le forze politiche spagnole si stanno studiando a vicenda, e il re, più sbertucciato che mai, non riesce a prendere l’iniziativa. E questo senza contare la situazione catalana, dove il nuovo governo (un’altro esecutivo a trazione populista) sta cercando di approfittare del vuoto di potere a Madrid per accelerare il più possibile il processo indipendentista.
La penisola iberica è in cerca di guardiani contro i populisti al governo, quelli che ci sono già come a Lisbona e quelli che vorrebbero andarci, come a Madrid. Alla prima crisi, Marcelo Rebelo de Sousa imparerà che non può limitarsi a fare l’arbitro. Re Felipe, invece, sta affrontando la prima crisi del suo regno in queste settimane, il giudizio degli spagnoli su di lui dipenderà molto da come riuscirà a risolverla.